L’opposizione a Papa Francesco può contare su una nuova opera letteraria. Si tratta del volume dal titolo molto significativo, Il Papa dittatore, che viene pubblicato soltanto in edizione digitale. L’autore si nasconde dietro lo pseudonimo di Marcantonio Colonna. In 236 pagine, però, a emergere non sono fatti e dati che motivano in modo incontestabile il titolo del volume, bensì un livore impressionante contro Bergoglio. Non mancano nemmeno i refusi e delle sviste assai evidenti che rendono il lavoro, dal punto di vista scientifico, molto opinabile.

Eppure questo volume rischia di diventare un vero e proprio manifesto dietro al quale si possono nascondere i nemici di Francesco. Un’opera prima, insomma, alla quale potrebbero seguirne altre, sempre con autori anonimi, tese a sabotare il pontificato di Bergoglio. Se anche il Papa latinoamericano ha dovuto confrontarsi con la sua Vatileaks, ovvero con la pubblicazione di documenti riservati, gli oppositori di Francesco ora potrebbero utilizzare il metodo dei libelli anonimi per fare pressione su Bergoglio nella speranza di ottenere il loro obiettivo, ovvero le sue dimissioni.

C’è da dire che testi come Il Papa dittatore, al di là della pretenziosa copertina, sono a dir poco innocui e Francesco può serenamente archiviare questo ennesimo gesto compiuto dai sedevacantisti, ovvero da coloro che sperano di mettere presto la parola fine al suo pontificato. Meritoria di attenzione, invece, è un’altra opera uscita proprio in questi giorni. Si tratta del testo di Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale presso l’Università di Perugia. È suo l’interessantissimo volume intitolato “Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale” edito da Jaca Book.

Nella sua premessa al libro, il professore Guzman Carriquiry Lecour, vicepresidente della Pontificia Commissione per l’America Latina e amico personale del Pontefice, scrive che “la scarsità di riferimenti relativi alla sua biografia intellettuale, è dovuta, in primo luogo, allo stesso Papa Francesco, che non ama ostentare le proprie doti e qualità al riguardo e, certamente, non gradirebbe la qualifica di ‘intellettuale’. Bergoglio, come è noto, detesta gli intellettualismi astratti, tentati sempre da una deriva ideologica, muri che distraggono dal rapporto con Dio e con il suo popolo. Per di più, in ogni omelia, catechesi o messaggio, non ama includere sviluppi teologici che non siano brevi, adeguati e comunicati in maniera semplice”.

Il messaggio del Papa è dunque chiaro: “Vuole privilegiare sempre – sottolinea ancora Carriquiry – quella ‘grammatica della semplicità’, che non è mai semplicismo, nel suo modo diretto e autentico di esprimersi, di comunicare, per rivolgersi a tutti e a ciascuno, e raggiungere il cuore di tutti coloro che sono in ascolto, ovunque si trovino e qualunque sia il loro livello di istruzione e di formazione cristiana. Perciò il suo linguaggio vuole essere comprensibile a tutti, accompagnato da immagini che sono come ‘istantanee’ della realtà quotidiana e dei gesti simbolici”.

Borghesi evidenzia una profonda continuità di pensiero, dal punto di vista culturale, tra il beato Paolo VI, Benedetto XVI e Francesco sottolineando che “la Chiesa torna, una volta ancora, a essere l’unica realtà, a livello mondiale, che si propone come luogo di riconciliazione in un momento storico in cui, a fronte del fallimento della globalizzazione, tornano i grandi contrasti e le chiusure tra i popoli”. È proprio quello che è avvenuto nel viaggio del Papa in Myanmar e Bangladesh, il 21esimo del pontificato, dove Bergoglio ha pronunciato parole e compiuto gesti forti in favore dei Rohingya, la minoranza musulmana perseguitata e a cui è negata la cittadinanza. In un mondo in cerca di condottieri degni di questo nome, Francesco ha dimostrato ancora una volta di essere l’unico leader credibile.

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