“Le nostre decisioni sull’immigrazione devono essere sempre prese dagli americani e solo dagli americani”. In poche parole Nikki Haley, l’ambasciatrice americana all’Onu, annuncia che gli Stati Uniti si sfilano dal Global Compact on migration, l’accordo delle Nazioni Unite per una migrazione sicura firmato nel settembre 2016. La dichiarazione, ha proseguito Haley, “non è in linea con le politiche per l’immigrazione e i rifugiati americane e con i principi dell’amministrazione Trump”. Quindi, ha proseguito, “la missione americana all’Onu ha informato il segretario generale che gli Stati Uniti mettono fine alla loro partecipazione al Global Compact sulla migrazione”.
L’intesa, chiamata Dichiarazione di New York, contiene “disposizioni che non sono in linea con le politiche americane. Per questo il presidente Trump ha deciso che gli Stati Uniti metteranno fine alla loro partecipazione al processo”. “Saremo noi a decidere come meglio controllare i nostri confini e chi sarà autorizzato a entrare nel nostro paese – mette in evidenza Haley -. L’approccio globale della Dichiarazione di New York non è semplicemente compatibile con la sovranità americana”. La decisione è stata accolta con “rammarico” dal presidente dell’Assemblea generale dell’Onu, Miroslav Lajcak, che sottolinea come gli Usa non dovrebbero perdere questa occasione “per migliorare le vite di milioni di persone nel mondo. La migrazione – ha aggiunto – è un fenomeno globale che richiede una risposta globale – ha detto – e il multilateralismo resta la strada migliore per affrontare le sfide globali”.
Quello del Global Compact on migration è un altro strappo che si consuma con l’Onu dopo la decisione a ottobre di lasciare anche l’Unesco, che secondo l’amministrazione Trump “ha persistenti pregiudizi contro Israele”. A incidere anche le recenti risoluzioni adottate sulla questione israelo-palestinese incluse quella sulla città di Hebron, in Cisgiordania, dichiarata parte del patrimonio storico palestinese, e l’altra sulla Città Vecchia di Gerusalemme. Nel 2011 Washington aveva sospeso i finanziamenti all’organizzazione in seguito al riconoscimento della Palestina come membro dell’organizzazione. E a giugno il presidente Usa aveva inoltre deciso di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo sul clima perché farebbe “danno all’economia favorendo la Cina“. Secondo il tycoon, l’intesa farebbe perdere “due milioni di posti di lavoro”.