Riccardo Bagattin, 27 anni, prima è stato volontario, poi è diventato responsabile per la Croce Rossa della gestione logistica delle cliniche mobili che operano per i Rohingya. "Questa strada rende molto difficile coltivare dei rapporti interpersonali, ma so che è quella giusta per me"
A soli 27 anni Riccardo Bagattin sa già come si gestisce un’emergenza. Forte di un’esperienza da volontario nella Croce Rossa Italiana lunga un decennio, poco più di un anno fa ha inviato una candidatura per una posizione che si era aperta nell’associazione: “Era un ruolo da delegato junior per una missione in Madagascar e sono stato scelto”, racconta.
Già nel 2015, mentre stava completando gli studi in Scienze Politiche, Riccardo si era avvicinato all’ambito delle organizzazioni internazionali: “Seguivo un progetto del ministero dell’Interno per una cooperativa di Pordenone, la città in cui sono nato – spiega -, mi occupavo dell’insediamento di alcune famiglie di profughi afghani e siriani”. Un lavoro importante e operativo, certo, “ma un po’ stanziale”.
Riccardo, infatti, aveva voglia di mettersi alla prova lontano da casa e l’occasione giusta è arrivata proprio con la chiamata della Croce Rossa Italiana: “L’esperienza in Madagascar, durata nove mesi, ha segnato una svolta importante sia a livello professionale che personale – ammette -, mi ha permesso di capire che questo è quello che voglio fare nei prossimi anni”. Lì ha seguito un progetto sul cancro femminile mammario, che includeva sia una campagna di sensibilizzazione che alcuni test medici gratuiti.
Al termine dei nove mesi è rientrato in Italia: “L’obiettivo era quello di tornare in Madagascar dopo poco, ma l’epidemia della peste è diventata ancora più grave, anche se in pochissimi ne parlano – sottolinea -, così, per ragioni di sicurezza, ho dovuto rinunciare”.
Intanto, però, era emersa anche un’altra emergenza umanitaria, quella dei profughi Rohingya del Myanmar in Bangladesh: “Qui la Croce Rossa ha deciso di rispondere con un progetto di cliniche mobili che operano direttamente sui campi”, spiega. La gestione logistica e organizzativa di queste strutture spetta a lui: “Sono arrivato qui un mese fa e mi sto rendendo conto che è un’esperienza totalmente diversa rispetto al Madagascar, dove avevo più tempo da dedicare a ogni singolo progetto. Qui, vivendo in una situazione di grande crisi, bisogna lavorare a ritmi molto frenetici”.
E questo si riflette sull’organizzazione della giornata: “Quasi tutti i giorni io e il resto dell’equipe ci spostiamo per raggiungere l’unità mobile, che si trova a un’ora di macchina e a mezz’ora di strada a piedi dalla nostra sede – spiega -. Lì portiamo i farmaci e altri materiali e i medici visitano tutti i pazienti che si presentano spontaneamente”. Dopo essere rientrato alla base, Riccardo si occupa della parte amministrativa e logistica: “Diciamo che uno dei miei compiti è quello di risolvere problemi e imprevisti, sia dal punto di vista del budget che dell’organizzazione”, spiega. Una bella sfida per una persona della sua età: “È molto faticoso, ma estremamente gratificante – ammette -, ho capito che è importante essere flessibili e avvicinarsi il più possibile alla cultura locale”.
La trasferta in Bangladesh lo terrà impegnato fino alla fine del 2017, “ma nel mio lavoro i termini sono sempre relativi”, ammette. E se punta lo sguardo un po’ più in là, Riccardo non ha dubbi: “Questa strada rende molto difficile coltivare dei rapporti interpersonali, ma so che è quella giusta per me”, spiega. “In questi mesi ho capito che il mio futuro è continuare a lavorare sul campo”.