Si scrive spending review, si legge smantellamento della polizia postale. Un’operazione che va avanti da quattro anni, nonostante sulla carta il piano annunciato dall’allora governo Renzi che prevedeva la chiusura di 267 uffici della Polizia di Stato e, in particolare, 70 della Polizia postale si sia fermato proprio a un passo dalla chiamata alle urne per il referendum del 4 dicembre 2016. Secondo il Sap, sindacato autonomo di polizia, “si è deciso in quel momento storico di non portare avanti un progetto evidentemente impopolare”, ma nella realtà dei fatti l’obiettivo resta la chiusura. Tanto che la scorsa primavera quel progetto è stato rispolverato e il Dipartimento della Pubblica Sicurezza ha riproposto nuovamente, a livello nazionale, la chiusura di 54 Sezioni di Polizia Postale. Per il personale di questi uffici si prevede la costituzione di specifiche sezioni presso le squadre mobili locali.
Ed è stata pioggia di appelli e interrogazioni, anche perché i crimini sul web continuano ad aumentare: dal terrorismo ai finti black friday online. “Non si tratta di un’operazione di razionalizzazione, ma semplicemente di un modo per recuperare uomini, dato che nel comparto della sicurezza ne mancano 50mila, 18mila solo nella Polizia di Stato”, spiega a ilfattoquotidiano.it il segretario generale del Sap Gianni Tonelli. Secondo il sindacato per raggiungere questo scopo si stanno utilizzando due strade: “Da un lato non si sostituiscono gli agenti che stanno andando in pensione o si trasferiscono, dall’altro si sottraggono ai cyberpoliziotti alcune competenze specifiche”. Morale: dal 2010 al 2017 (dati aggiornati all’inizio dell’anno) gli agenti sono passati da 920 a 603.
Non è un caso se, quando un paio di settimane fa i server di Palazzo Chigi, ministero della Difesa e ministero dell’Interno sono stati violati dagli hacker di Anonymous, è stata dura la presa di posizione del sindacato: “I tagli dissennati all’apparato della sicurezza che hanno portato allo smantellamento degli uffici di Polizia Postale e delle Comunicazioni su gran parte del territorio nazionale, iniziano a dare i loro tristi frutti”.
LO SPETTRO DEI TAGLI – Sul territorio nazionale la Polizia postale opera attraverso gli uffici regionali che si occupano anche della città capoluogo di regione e gli uffici provinciali ai quali possono rivolgersi i cittadini che arrivano, appunto, dalla provincia. Della ‘razionalizzazione’ delle forze di polizia si era parlato anche prima dell’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi, ma è all’inizio del 2014 che l’Esecutivo ha manifestato l’intenzione di chiudere una settantina di uffici provinciali (subito i primi 40), fatta eccezione per quelli nelle città dove c’è una procura distrettuale, che sono nove in tutta Italia. Un piano che ha subìto un freno con la campagna referendaria e, poi, con il risultato raggiunto alle urne. “Sulla carta è tutto fermo – spiega Tonelli – ma in concreto non è così, perché nel frattempo si stanno portando queste sedi a una chiusura naturale. Chi va in pensione o si trasferisce non viene sostituito e se si cerca di fare carriera e, per esempio, si diventa sovrintendente, non c’è possibilità di tornare nel proprio ufficio ma si viene inviati altrove”. L’obiettivo? “Recuperare dai 3 ai 4mila uomini e inviarli alle Questure, perché le poltrone saltano se qualcosa va storto nell’ordine pubblico, mentre importa molto meno delle truffe ai cittadini e dei ragazzini presi di mira dal cyberbullismo”.
In effetti, basta dare uno sguardo ad alcuni dati pubblicati da Il Tempo all’inizio dell’anno, dove già i tagli sono evidenti. Dal 2010 all’inizio del 2017 in alcuni uffici provinciali il personale è stato dimezzato, in altri si è ridotto persino di un terzo. A Imperia in sette anni si è passati da 14 a 7 unità. A Chieti da 12 a 4, a Vibo Valentia da 4 a 0, a Forlì da 10 a 5, a Pordenone da 16 a 7, a Rieti da 12 a 3, a Bergamo da 8 a 3, così come a Cremona, Mantova e Novara, a Vercelli e Ragusa dei 6 agenti in servizio ne sono rimasti solo 2, mentre a Pavia, Trapani e Taranto si è scesi da 7 a 3. Ridotto a un terzo anche il personale degli uffici di Sondrio e Padova (da 15 a 5). Molti di questi uffici, secondo i piani, saranno chiusi. “Ma nel frattempo – aggiunge Tonelli – vengono svuotati, mentre non si fanno fare corsi di aggiornamento in un settore dove, invece, la formazione è tutto. Per i reati informatici quattro anni sono un’eternità”.
LA QUESTIONE DELLE COMPETENZE – Nel frattempo, è arrivato il decreto del 15 agosto scorso, firmato dal ministro dell’Interno Marco Minniti, che ‘riorganizza’ le competenze: “Gli uffici non possono più lavorare su cyberbullismo, terrorismo e truffe in rete – sottolinea il segretario generale del Sap – mentre resta la competenza su pedofilia online e attacchi informatici nei confronti di grandi società convenzionate con il ministero dell’Interno”. Secondo Tonelli, oltre all’obiettivo di recuperare uomini, c’è anche un’altra ragione alla base di questo piano: “Le sezioni provinciali della Polizia postale hanno sempre fatto capo agli uffici regionali e mai alle Questure che, in alcuni casi, non erano neppure a conoscenza delle indagini svolte dagli agenti su disposizione delle procure. Questo è un dato di fatto ed ha certamente reso questi uffici più facilmente sacrificabili. Per il governo queste sezioni non controllabili devono scomparire”.
Il tutto avviene mentre i reati online aumentano: si va dai raggiri alle sostituzioni di identità, per non parlare della rete di pedopornografia. Secondo i dati dei rapporto Clusit in Italia dal primo semestre 2016 allo stesso periodo di quest’anno i reati in rete sono cresciuti dell’83%. “Diventa sempre più difficile – aggiunge Tonelli – trattare truffe informatiche o diffamazioni online e, infatti, alla fine nessuno se ne occupa con la conseguenza che i cittadini non hanno un riferimento, oltre al fatto che, soprattutto per le truffe, non si tratta di una materia di cui si possono occupare tutti perché spesso dietro questi raggiri si nascondono delle vere e proprie organizzazioni criminali che necessitano di una preparazione specifica”.