Mi trovavo lunedì 27 novembre ad Ho Chi Minh, Vietnam, per partecipare alla nona Conferenza internazionale sul Mar Cinese Meridionale e ad altre attività di ricerca.
Il Mar Cinese Meridionale costituisce un’area di grande importanza dal punto di vista ambientale, strategico e commerciale ed è al tempo stesso oggetto di contesa tra i Paesi rivieraschi: Cina, Vietnam, Indonesia e Filippine, fra gli altri.

Una soluzione pacifica e basata sul diritto internazionale di tali controversie è indubbiamente nell’interesse comune, come lo è lo sviluppo della cooperazione regionale per affrontare le urgenti questioni del degrado ambientale e dell’inquinamento, nonché della sicurezza per prevenire e reprimere pirateria, terrorismo e attività criminali di vario genere che vengono intraprese su larga scala.

Alla cena di gala che si è svolta lunedì sera in un grande hotel è intervenuto il sindaco della città che un tempo si chiamava Saigon, e oggi è intitolata al grande leader comunista vietnamita ed è la più grande del Paese per numero di abitanti. Gli ho posto pubblicamente la domanda relativa ai livelli effettivi di partecipazione democratica che si registrano nella città e mi ha risposto che in effetti si stanno ponendo il problema di garantire la massima trasparenza alle decisioni adottate e di fornire informazioni adeguate perché, ha dichiarato, bisogna dare il potere al popolo. Obiettivo, questo, che come si vede attraversa sistemi differenti per ispirazione politica, oltre che situati a latitudini e longitudini molto diverse sia dal punto di vista geografico che culturale.

Tema da me affrontato anche, domenica 3 dicembre, alla Conferenza di diritto internazionale di Pechino, sottolineando le sue connessioni con quello dei beni comuni, che sono tali appunto perché sottratti alla speculazione privata e gestiti mediante un processo di partecipazione democratica per destinarli alla soddisfazione di bisogni essenziali e diritti fondamentali. Così come avviene in molte città italiane e di altri Paesi mediante l’occupazione di spazi ed edifici inutilizzati.

Il tema della partecipazione democratica si pone, in Italia, anche in termini direttamente politici, specie dopo che la nuova pessima legge elettorale voluta da Renzi, Berlusconi ed altri, ha perpetuato l’assoluta irrilevanza del corpo elettorale nella determinazione di orientamenti, programmi e composizione delle liste elettorali che saranno in lizza a marzo. Situazione di vero e proprio attentato alla democrazia aggravato dal sostanziale fallimento dell’esperimento Cinquestelle pur apprezzabile per certi aspetti.

Occorre dunque muovere nuovi passi avanti sulla via della costruzione democratica dal basso della partecipazione politica anche a livello elettorale, raccogliendo l’appello lanciato sabato 18 novembre dalle ottocento persone con la parola d’ordine “Potere al popolo”, che si sta attualmente concretizzando in numerose assemblee in giro per il Paese con l’obiettivo di una lista popolare autonoma con questo nome alle prossime elezioni politiche. Un processo di sostanziale innovazione politica di importanza fondamentale cui dovrebbero immediatamente sottomettersi tutti i residui brandelli di quella che fu la più grande sinistra del mondo occidentale. In tutto il mondo, infatti, le nozioni di sinistra e di cambiamento sono indissolubilmente legate alla loro capacità di farsi interprete delle profonde istanze ed esigenze del popolo, altrimenti si riducono solo a cricche autoreferenziali, cosa purtroppo già avvenuta da molte parti.

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