Sembrerebbe che nei prossimi mesi, finalmente, ci saranno nuove assunzioni nell’Amministrazione Penitenziaria. Sarà vero? Speriamo proprio di sì. L’operatore penitenziario ricopre un ruolo di enorme rilievo e prestigio sociale. Nelle sue mani la collettività affida persone che dovranno essere custodite, intrattenute, sostenute, aiutate. È un lavoro che, insieme a pochi altri, ha una sua mission ben delineata dalla nostra Carta Costituzionale, che agli articoli 13 e 27 afferma che “la libertà personale è inviolabile” e “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Sono trascorsi più di vent’anni da quando è stato assunto l’ultimo direttore penitenziario. Dieci anni o forse più dall’ultimo concorso per educatore penitenziario. E ancora a quella graduatoria si attinge oggi. Non vi sono al momento mediatori culturali alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria. Quei pochi che operano negli Istituti di pena sono alle dipendenze di Enti Locali o di Cooperative sociali. Anche la situazione degli assistenti sociali non è troppo diversa, nonostante debbano adesso farsi carico di seguire le migliaia di persone che richiedono la messa alla prova, l’istituto giuridico che nel 2014 è stato introdotto anche per gli adulti e che permette all’imputato di vedersi estinto un reato minore se segue con profitto un programma di prescrizioni sotto il controllo, appunto, dei servizi sociali e dopo una loro preliminare indagine. Dura è la situazione degli psicologi, operativi in base all’articolo 80 dell’Ordinamento Penitenziario, costretti in un limbo amministrativo e la cui professionalità di lunga data sarebbe assurdo e autolesionista perdere. Va fatto di tutto per tenerli dentro l’Amministrazione, a supporto dei tanti detenuti che ne hanno bisogno.
I detenuti sono oggi circa 58.000. Un buon regalo di Natale per il nostro sistema penitenziario sarebbe quello di porre, al fianco di una riforma coraggiosa – e non minimale – delle norme che regolamentano le nostre carceri, datate al 1975, un piano Marshall del mondo carcerario con centinaia di nuove assunzioni nelle professioni direttive, educative, sociali, sanitarie. Ci sono sicuramente migliaia di giovani neo-laureati motivati e pronti a partecipare a concorsi per lavorare negli istituti di pena.
Tutte le riforme richiedono una rivoluzione organizzativa a proprio supporto. Nuove assunzioni aiuterebbero il sistema a rigenerarsi. Tutti coloro che lavorano in un carcere – direttori, poliziotti, educatori, assistenti sociali, psicologi e funzionari amministrativi – svolgono un lavoro fortemente usurante e a serio rischio di burn out. Sarebbe stato giusto inserirli fra i titolari del diritto ad andare in pensione prima dei 67 anni. Quanto meno andrebbe garantita a tutti gli operatori penitenziari una mobilità volontaria dopo anni di impiego.
Oggi siamo alle soglie di una riforma che ci auspichiamo sia epocale. A giorni il Ministero della Giustizia renderà pubblici i decreti attuativi della legge con la quale il Parlamento nel giugno scorso ha delegato il governo a ripensare l’esecuzione della pena. Ci auguriamo che ci sia spazio anche per ripensare il lavoro di chi svolge un compito tanto prezioso per la società.