Avete presente quella sottile sensazione di ansia che vi prende quando, controllando Facebook mentre siete al lavoro, vedete solo foto di viaggi, feste, concerti che vi siete persi? L’impressione che tutti si stiano divertendo tranne voi ha un nome: FOMO (o FoMO, a voler essere precisi) acronimo di Fear Of Missing Out. La paura di perdersi qualcosa. Il termine è stato coniato da Patrick McGinnis in un articolo apparso nel 2004 sulla rivista della Harvard Business School ed ha cominciato a circolare quando è stato usato da Caterina Fake, la co-fondatrice di Flickr. Ma la parola è diventata famosa in relazione ai social grazie ad un saggio del 2013, cofirmato da psicologi di varie università, in cui Andrew Przybylski definiva la FoMO come “la costante apprensione che altri stiano facendo esperienze positive dalle quali ci si sente esclusi, caratterizzata dal desiderio di stare continuamente connessi e informati su cosa stanno facendo gli altri”. Insomma, il motore immobile di tutti i social network.
Per come l’ha descritta McGinnis, la FoMO è antica come il mondo: è la sensazione che ovunque tu sia, qualunque cosa tu sia facendo, ci sia sempre qualcosa più divertente o più importante da qualche altra parte. In soldoni, è la consapevolezza che qualsiasi cosa ordini, il piatto del tuo commensale ti sembrerà molto più buono del tuo. Già era stressante immaginarselo, figuriamoci vederlo ogni volta che prendiamo in mano il telefono. Perché, come sottolinea Przybylski nel suo studio, i social network si basano tutti su questo principio: se ti succede qualcosa di bello, dillo a tutti. Il rovescio della medaglia è che online le vite degli altri sembrano perfette: Capodanno sulla neve, Ferragosto in barca, cene a lume di candela. E tu a casa, in ufficio o bloccato nel traffico.
Con tre diversi studi su scala internazionale, Przybylski ha dimostrato che la FoMO colpisce soprattutto persone insoddisfatte e con bassa autostima, che cercano conferme e contatti umani online: i social non sono il problema, ma alimentano il bisogno irrazionale di sbirciare le vite degli altri e confrontarle con la nostra. E cinque minuti dopo, controlliamo di nuovo. Secondo i dati del Digital Global Overwiew, in media controlliamo lo smartphone 85 volte al giorno, anche quando non ci arriva una notifica. Visto mai fosse successo qualcosa nel frattempo. Secondo i ricercatori, le persone con alti livelli di FoMO tendono a controllare il telefono appena svegli, durante i pasti e prima di andare a dormire. Vi suona familiare? È il motivo per cui il sabato mattina, ancora sotto le coperte, controlliamo le storie dei nostri amici su Instagram per vedere dov’erano mentre noi eravamo sul divano in pigiama a guardare la tv. È il motivo per cui andiamo in pausa pranzo con la forchetta in una mano e il cellulare nell’altra: giusto una scrollata alla home di Twitter per vedere cosa c’è in tendenza, di che si parla. Ed è anche il motivo per cui se ci si scarica il cellulare in treno, o se ci troviamo in un posto senza linea, diamo di matto. Chissà che ci stiamo perdendo. Probabilmente l’ennesima foto davanti allo specchio con l’hashtag #staserafacciolabrava: assolutamente nulla.
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