Nel linguaggio mafioso non esiste un termine preciso che indica il ruolo delle donne all’interno delle organizzazioni criminali. Non c’è, insomma, al pari dell’uomo d’onore, la donna d’onore. Né ci sono particolari rituali di affiliazione per il gentil sesso, basta essere moglie di… sorella di… figlia di… per entrare nell’Olimpo criminale ma senza avere un ruolo attivo. Al massimo le donne sono “sorelle d’omertà” nel senso che custodiscono i segreti e fanno quello che dicono gli uomini, senza ribellarsi. Almeno questa era l’idea comune fino a poco tempo fa e così è rimasta nei gergo criminale dove non ci sono nomi declinati al femminile.

Tuttavia l’arresto della moglie del boss Madonia, avvenuto in queste ore, ci impone di riflettere su ciò che rappresentano le donne dentro le organizzazioni criminali e come è cambiato nel tempo il loro ruolo. Mariangela Di Trapani, arrestata durante il blitz dei carabinieri di questa mattina, era diventata uno snodo fondamentale, soprattutto per le comunicazioni tra il 41 bis e l’esterno. Ma non solo. Era lei che comandava e lei che voleva cambiare Cosa Nostra, proprio ora che la mafia siciliana è orfana del capo dei capi, Totò Riina.

Ma molti sono i segnali che le donne hanno lanciato dall’interno delle organizzazioni criminali circa il loro ruolo, sia per quanto riguarda l’aiuto ai latitanti e le comunicazioni con l’esterno, nonché la gestione dei soldi, fatti documentati da operazioni di polizia; sia per quanto riguarda messaggi simbolici che dimostrano l’appartenenza anche mentale al credo della mafia.

Nel 1992, Giovanna Cannova, la mamma della giovanissima Rita Atria, non volle andare al funerale di quella figlia “pentita”, rinnegata dal giorno in cui aveva deciso di raccontare al giudice Paolo Borsellino tutto quello che sapeva della mafia del Belice. Neanche davanti all’ultimo gesto disperato della figlia ha avuto un attimo di cedimento. Nessuna pietà. Nemmeno dopo i funerali di Rita. Nel cimitero di Partanna, Giovanna Cannova, ha distrutto con un martello la lapide della figlia con la scritta “la verità vive”, scelta dalla nuora Piera Aiello, anche lei collaboratrice di giustizia dopo l’assassinio del marito, aveva trascinato con sé Rita che in quel mondo di morti ammazzati, di sangue, rabbia e dolore non ci voleva più stare. Ma sua madre sì. Sua madre ha dimostrato ai parenti di essersi vendicata.

Nel 2016 la madre di Maria Concetta Cacciola è stata arrestata per maltrattamenti in famiglia e istigazione al suicidio della figlia, che è morta ingerendo acido muriatico a Rosarno. Aveva scelto la libertà Maria Concetta e di sua madre si era fidata quando le ha raccontato che voleva tornare nel programma di protezione e farsi di nuovo “pentita”, ma la giovane è uscita morta dalla casa dei suoi.

Nell’ottobre del 2016 la Corte d’appello di Palermo ha condannato a 14 anni e 6 mesi di reclusione Anna Patrizia Messina Denaro, sorella del boss latitante Matteo, per associazione mafiosa. Secondo l’accusa, la donna non sarebbe stata una mera portavoce delle disposizioni del fratello al clan, ma avrebbe partecipato attivamente con l’organizzazione criminale.

Anche in Campania, recenti operazioni di polizia, hanno dimostrato che le donne della camorra comandano quanto gli uomini. Il copione è sempre lo stesso: quando i mariti vengono arrestati sono loro il contatto con l’esterno, sono loro che riferiscono i messaggi, organizzano incontri, danno ordini e prendono i soldi. Il procuratore Rosario Cantelmo, dopo alcuni arresti nel 2013, le ha definite le “quote rosa della camorra” perché a differenza di tanti anni fa “sono molto più partecipi alle decisioni e sorti della cosca alla quale appartengono”.

Renate Siebert in “Donne  di mafia. Affermazione di un pseudo-soggetto femminile. Il caso della ‘ndrangheta”, a proposito del ruolo delle donne nelle organizzazioni criminali di stampo mafioso, sostiene che nel tempo si è fatta strada un’immagine differente ed in forte contrasto da quella stereotipata di donne con un ruolo passivo di madri e mogli, “arretrate” e all’oscuro delle attività criminali dei familiari. Uno pseudo-soggetto femminile aderente all’ordine materiale e simbolico maschile, in maniera attiva, irresponsabile nei confronti delle altre donne ma prima di tutto di se stessa.

Dall’altra parte ci sono le donne che si ribellano. Quelle che per prime in alcuni territori difficili, stanno rompendo il muro del silenzio e dell’omertà per il bene di se stesse e dei propri figli. Perché una donna che è anche madre ha una responsabilità in più. In entrambi i casi la figura femminile all’interno e all’esterno delle organizzazioni criminali è complessa e il ruolo delle quote rosa ancora tutto da scoprire.

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