È il buco nero più lontano mai osservato, un gigante con una massa che supera 800 milioni di volte quella del Sole. Come un fossile cosmico, racconta di quando l’universo era ancora un bambino di appena 690 milioni di anni e non l’adulto di quasi 14 miliardi di anni che conosciamo. Il suo identikit è pubblicato sulla rivista Nature dal gruppo dell’Osservatorio americano Carnegie guidato da Eduardo Baados.

A catturare le prime immagini del buco nero da record sono stati i telescopi Gemini alle Hawaii, Magellano in Cile e Lbt (Large Binocular Telescope) in Arizona. Il buco nero risale all’epoca buia della storia del cosmo, quando l’universo era avvolto da una sorta di nebbia fatta di idrogeno, l’elemento più abbondante dell’universo. Poi il buio fu squarciato dalla luce delle prime stelle e galassie, che iniziò a viaggiare liberamente. Fino a raggiungerci. “Stiamo imparando a guardare sempre più lontano nel cosmo, a studiare un universo sempre più giovane”, ha detto all’Ansa Roberto Decarli, dell’Osservatorio Astronomico di Bologna dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), tra gli autori dello studio.

I buchi neri sono come ‘aspirapolveri cosmiche’ che divorano tutto ciò capiti loro a tiro, luce compresa. Sono, quindi, invisibili per definizione. “Li osserviamo in modo indiretto – ha spiegato Decarli – grazie al gas interstellare che, cadendo nel buco nero, prima di essere ingoiato si scalda ed emette luce. È questa luce ad aver raggiunto i nostri telescopi, dopo un viaggio di miliardi di anni. La scoperta – ha concluso Decarli – ci potrà aiutare a capire come si sono formati i primi buchi neri, e come hanno fatto a crescere così tanto in un tempo piuttosto breve nella vita dell’universo”.

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