“Se chiedo a un palermitano di scrivere qualcosa senza pensarci troppo, poco importa come, può avere un gessetto o un cervello elettronico, lui non ha dubbi, perché la prima cosa che gli viene in mente è soltanto suca“. Il lapidario racconto appartiene a Fulvio Abbate che così nel suo Zero maggio a Palermo riassumeva l’ossessione viscerale dei suoi concittadini per quella parola dalle quattro lettere. Un imperativo a chiaro sfondo sessuale che ormai da anni si è trasformato nella più diffusa delle esclamazioni. Più che un’offesa, un goliardico augurio, più che un invito un vero e proprio mantra che si è materializzato ovunque sui muri, sui portoni, sui banchi dei licei.
“Suca si legge interminabilmente sui muri del piazzale – continuava Abbate – È la scritta che a Palermo viene tracciata su ogni parete bene in vista. La scritta di benvenuto. C’è chi la maschera con imbarazzo aggiungendo un po’ di vernice dello stesso colore, ma inutilmente, perché suca ricompare il giorno dopo. Suca può anche essere trasformata: la S diventa un otto, la U e la C due zeri, soltanto la A resta tale, e alla fine di quest’operazione si legge 800A“.
Ma visto che Suca è ormai diventata una parola virale ha ancora il suo significato originario? Parte da questa domanda la tesi di laurea di Alessandra Agola, come racconta l’edizione locale di Repubblica. Studentessa di Scienze della comunicazione all’università di Palermo, Agola ha messo al centro del suo lavoro accademico in semiotica il bisillabo magico, doo aver incassato il via libera dal relatore Dario Mangano. La tesi si intitola “S-word. Segni urbani e writing“ed S-word è quella parola diventata stile di vita.
“Studiando comunicazione la cosa fondamentale è la curiosità. E leggere questa parola ovunque mi ha spronato a saperne di più. Quando ho capito che in giro non c’era quasi nulla, ho detto: come è possibile? È un fenomeno davvero troppo diffuso per non essere analizzato. Quindi ho fatto la mia piccolissima parte in semiotica”, spiega Alessandra che pubblicherà una parte della sua tesi con la casa editrice Qanat. Nel libro in uscita – titolo obbligatorio: 800A – ventuno autori palermitani scrivono un racconto sul Suca. Alessandra, invece, ragiona sullo scollamento tra la sostanza dell’espressione Suca e il suo reale contenuto. “Un po’ quello che il semiologo francese Roland Barthes definiva illeggibilità, quando il significante si stacca dal significato e prende le distanze da alibi referenziali, lasciando così intravedere il testo”. Ma forse la definizione più profonda appartiene ancora una volta ad Abbate. “Non è importante che suca accompagni un nome – ricordava lo scrittore palermitano . suca non ha genere, non è maschile né femminile, e solo di rado ha bisogno di un volto certo cui rivolgersi: suca è come un punto fisso dello spazio e può bastare, come ogni insulto, anche soltanto a se stesso”.
La fotografia in evidenza – diffusa sui social network – è opera di Vittorio Catania