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Terrorismo, ricercatrice libica assolta in appello: “Il fatto non sussiste”

La corte d’assise d’appello di Palermo, ribaltando la sentenza di primo grado, ha assolto Khadiga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica accusata di istigazione a commettere reati in materia di terrorismo. Arrestata due anni fa, venne condannata dal gup a un anno e otto mesi in abbreviato.
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La corte d’assise d’appello di Palermo, ribaltando la sentenza di primo grado, ha assolto Khadiga Shabbi, la ricercatrice universitaria libica accusata di istigazione a commettere reati in materia di terrorismo. Arrestata due anni fa, venne condannata dal gup a un anno e otto mesi in abbreviato. Il giudice che la condannò sospendendole la pena e rimettendola in libertà la descrisse come un “soggetto pericoloso e simpatizzante del fenomeno jihadistico“. Una valutazione evidentemente non condivisa dalla corte d’Assise d’appello di Palermo presieduta da Angelo Pellino, che ha assolto la 47enne libica “perché il fatto non sussiste”.

Gli inquirenti sostennero che, dietro la professione ufficiale di ricercatrice universitaria, la donna avesse nascosto una rete di contatti con esponenti di organizzazioni terroristiche islamiche e foreign fighters e una fitta attività di propaganda in favore di Al Qaeda svolta attraverso social come Facebook. Contro di lei gli investigatori produssero intercettazioni telefoniche e i dati dei suoi pc. Il materiale informatico sequestrato le sarà restituito su espressa decisione dei giudici d’appello. A maggio scorso alla Shabbi venne concesso l’asilo in Italia. Dopo il verdetto e la sopensione della pena, in quanto incensurata, era stata trasferita nel Cie di Ponte Galeria a Roma e da lì aveva chiesto il riconoscimento dello status di rifugiata in quanto nel suo Paese c’è la guerra civile. Una decisione “sconfessata” immediatamente dal ministro dell’Interno Marco Minniti che chiese al questore di Roma l’immediata revoca della protezione umanitaria concessa, scrisse in un comunicato, erroneamente a Khadiga Shabbi. Per la ricercatrice, infatti, secondo il Viminale trovava applicazione “solo il principio di ‘non refoulement’ verso la Libia, cioè il divieto di espulsione nel paese di origine”.

“Finalmente la pacatezza, la serenità e l’applicazione del diritto hanno trionfato sulla suggestione, i castelli di carta e le presunzioni senza prove” ha commentato  l’avvocato Michele Andreano. “Al momento debito chiederemo il risarcimento dei danni al Viminale per l’ingiusta permanenza nel Cie di Ponte Galeria inflitta alla nostra assistita e allo Stato per l’ingiusta carcerazione subita. Ora Khadiga è a Palermo ed è libera. Vediamo se l’ambasciata libica le dà una mano”.

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