Non capisco granché di musica, ancor meno di rap, non ho le capacità per valutare la bravura di un compositore o di un cantante e per questo ogni canzone che mi è entrata dentro ha sempre avuto qualcosa a che fare con il suo testo o con un ricordo emotivamente intenso a cui la associo. Ieri pomeriggio aspettavo l’autobus e, controllando distrattamente i nuovi post su Facebook, mi è capitata sotto gli occhi una canzone.
Ho cliccato sul video colpita dall’immagine di copertina, che ritraeva un ragazzo in piedi sulle macerie di una casa crollata e che, improvvisamente, mi ha riportato davanti agli occhi le tragiche immagini di Amatrice, quella città che noi romani amiamo così tanto e il cui destino è scomparso dagli interessi dei tg nazionali una volta calato il sipario sui danni e sui morti causati dai due terremoti.
Il pensiero era andato nella direzione giusta, la canzone parlava di quel terribile 24 agosto ma anche dell’amore di un ragazzo per il suo piccolo paese, Macchia, una frazione del più “famoso” comune di Accumoli. Ho impiegato alcuni secondi, dopo la fine di questa bella canzone, per rendermi conto di essere arrabbiata. Sono passati più di quindici mesi e le macerie che vedete in quel video sono ancora lì. Lasciar vivere per più di un anno centinaia di persone in mezzo ai calcinacci di uno scenario che non cambia mai e ai ricordi perenni di un passato spazzato via in pochi secondi è già di per sé un’indecenza ma la sconfitta peggiore per uno Stato è lasciare i suoi cittadini nel dubbio: ricostruiranno davvero? Perché è questa la sfiducia che la gente ha nei confronti dello Stato oggi.
Ma c’è una seconda ragione dietro la mia rabbia. Grazie al mio lavoro ho a che fare spesso con ragazzi dell’età di questo giovane cantante e ogni volta rimango sbigottita dal peso incredibile che portano sulle spalle. Molti di loro hanno appena iniziato a vivere e già si sentono falliti, chi perché non riesce a laurearsi, chi perché non trova lavoro nonostante la laurea, chi perché non sa cosa fare per essere felice. E te lo dicono a denti stretti, vergognandosi come cani. Quanto vorrei saper raccontare loro ciò di cui sono stata testimone in questi anni di esperienza nel mondo dell’antimafia… quante persone laureate e ben affermate in società, quanti avvocati, giornalisti, magistrati, dirigenti di Polizia, ho visto commettere azioni arroganti, ingiuste, pavide e meschine da farmi vergognare di essere italiana. Quante persone hanno chiuso gli occhi davanti alle ingiustizie e alle sopraffazioni, lasciando soli e isolati gli uomini giusti e le vittime, per paura, per il potere, per le ricompense. Persone che non sanno come esprimere un’emozione o come chiedere scusa. Quanto vorrei saper spiegare a quei ragazzi che sono queste le cose di cui ci si dovrebbe vergognare.
Non conosco questo ragazzo, non conosco la sua storia ma il suo grido, le emozioni che, a modo suo, cerca di esternare sono convinta siano preziosi, perché espressioni del coraggio di essere se stessi, senza fare male a nessuno, prendendosi cura delle persone a cui si vuole bene, aprendo gli occhi al mondo dentro e fuori di sé. Ed auguro a lui e a tutti i ragazzi della sua generazione di avere successo, non necessariamente del tipo che viene applaudito in televisione (non so se, nel mondo di oggi, sarebbe un bell’augurio avere quel successo) ma il successo di essere brave persone.