“Questo sarà il mio ultimo Natale. La mia vita è giunta al capolinea. Da quasi quattro anni sono ammalato di Sla, malattia incurabile che ha reso la mia esistenza un calvario improponibile. Auguro a tutti voi un futuro ricco di salute. Lascio due fotografie in ricordo dei tempi felici”. Ha voluto salutare tutti così tramite Facebook, Dario Del Fabro, 62enne ex rugbista. Poi ha raccontato al Messaggero Veneto la storia della sua malattia, rivelando che il tribunale di Udine gli ha negato la possibilità di curarsi con un farmaco sperimentale e di aver pensato all’eutanasia. “Non l’ho fatto per i miei figli”, spiega.
Del Fabro è stato un giocatore di rugby di buon livello, ha militato anche in Serie B prima di gestire una nota palestra a Udine. Fino all’arrivo della “stronza”, come la chiamava l’ex calciatore della Fiorentina Stefano Borgonovo, pure lui morto per la Sclerosi laterale amiotrofica. Ha tentato di percorrere la via stretta delle cure sperimentali, Del Fabro, ma un giudice ha detto no alla somministrazione di una medicina di ultima generazione.
“Si chiama GM 604 – racconta al Messaggero Veneto – ed è un farmaco testato negli Stati Uniti. Il problema è che nel 2016 era ancora in fase di sperimentazione”. L’avvocato calabrese Fabio Trapuzzano, continua Del Fabro, “è tuttavia riuscito a ottenere per sei pazienti il via libera alla sua adozione da parte di altrettanti tribunali, da Napoli a Macerata“.
Ma il giudice civile del tribunale di Udine non ne permise l’utilizzo: “Il ricorso, urgente e cautelare, è stato rigettato. Nel motivare l’ordinanza, il giudice ha parlato di efficacia non comprovata del farmaco e sostenuto la necessità di uno studio di dimensioni più ampie – dice – Trattandosi di decisione lasciata alla discrezione del giudice l’avvocato mi aveva consigliato di spostare la residenza a Napoli. Mi rifiutai, sbagliando. Lo feci per non tradire la mia udinesità e questo è il risultato”.
Raccontando il suo calvario, Del Fabro confessa anche di aver pensato all’eutanasia: “A un certo punto, ho pensato anche all’ipotesi di andare in Svizzera. A una morte assistita, sì, perché questa è una vita insopportabile e anche le cose più banali diventano una fatica – conclude – Si dipende in tutto e per tutto dagli altri. Poi, però, ci ho ripensato: non è una scelta che intendo fare, prioritariamente per i miei figli”.