Sabato sera l’Italia si è divisa in due: non juventini e interisti, sarebbe stato troppo semplice. Ma tra chi si è goduto Juventus-Inter, il derby d’Italia più importante dell’ultimo lustro, e chi si è seduto in poltrona davanti alla televisione solo per criticare. “Brutta partita”, “derby della noia”, “catenacciari”: dopo lo 0-0 finale, si sono scatenati i commenti negativi dei soliti disfattisti del pallone italico, pronti ad inneggiare alle bellezze della Premier League inglese e della Liga spagnola, dove spesso gli attaccanti attaccano a caso, i difensori non difendono proprio, e le partite sarebbero più belle. Ma Juve-Inter è stata davvero uno spettacolo: quello del calcio all’italiana.
Ci sono zero a zero e zero a zero. Questa giornata lo dimostra. La Roma, ad esempio, ha pareggiato sul campo del Chievo Verona e perso altri due punti preziosi in classifica, forse anche un po’ per colpa del suo allenatore e di un turnover troppo accentuato: al Bentegodi, però, ha dominato, avrebbe potuto fare 5 o 6 gol, fermata solo dai miracoli di Sorrentino. E nessuno si è annoiato. Discorso diverso, invece, per il Napoli: il suo 0-0 è frutto dell’involuzione e della stanchezza, di un possesso palla sterile e di rarissime occasioni vere. Al San Paolo stavolta non si sono divertiti.
Questo per dire che il risultato non è per nulla indicativo, non da solo almeno, della qualità di un match, che può essere emozionante o monotono a prescindere dal numero di reti segnate. Juventus-Inter rientra nella prima categoria: sabato si è vista una grande partita. Una sfida scudetto tra due squadre forti e vere, che si sono rispettate e sfidate per novanta minuti con intelligenza, intensità, raziocinio. E con due allenatori straordinari.
Massimiliano Allegri, in questo momento, è il maestro del calcio all’italiana. Con le sue mosse la settimana scorsa aveva inflitto una lezione di calcio a Maurizio Sarri: una tattica simile l’ha replicata anche sabato a Torino, per poi accorgersi che contro un’Inter così timorosa avrebbe potuto osare anche di più. Forse tardi: gli hanno rinfacciato il pareggio e la panchina di Dybala, ma in fondo la Juve è uscita rinforzata dal trittico Napoli-Olympiakos-Inter, qualificata agli ottavi di Champions, a soli due punti dalla vetta e con l’impressione generale di essere già la favorita per il titolo. Invece con una sconfitta avrebbe rischiato di complicarsi seriamente la vita in campionato.
Dall’altra parte c’è Luciano Spalletti, su cui è già stato detto tutto. La sua Inter, quasi la stessa che l’anno scorso rimediava figuracce una giornata sì e l’altra pure, a Natale è prima in classifica da sola e non ha ancora perso una partita. Praticamente un miracolo. I nerazzurri sono tornati indenni da Torino (come anche da Roma e Napoli) giocando non la loro miglior partita, soffrendo tanto ma sapendo soffrire, ribadendo che anche la difesa è un’arte, e porta punti molto più preziosi dell’attacco.
In un momento di evidente crisi di talento, il nostro calcio sembra in grado di produrre campioni quasi solo in panchina. Allegri e Spalletti sono due dei massimi esponenti della filiera tecnica italiana, e non c’è da sorprendersi (né da vergognarsi) che siano loro i veri protagonisti delle gare più importanti. Juve-Inter è stata una partita a scacchi, una sfida avara di occasioni ma non per questo meno emozionante. A suo modo, uno spettacolo. Dopo lo 0-0 finale, in tanti – fra cui anche molti “sarristi” tifosi napoletani, a cui recentemente è venuto un po’ il complesso di superiorità da bel gioco – avevano evocato in tono dispregiativo il paragone col derby di Manchester, l’altra sfida scudetto della giornata in Premier League. È finita 1-2, tra una squadra (lo United di Mourinho) che ha scelto dichiaratamente il “non calcio”, e un’altra (il City di Guardiola) che ha difeso spesso come in Italia non si vede neppure in Terza categoria. Proprio sicuri che sia stata quella la grande partita del fine settimana?
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