Ci hanno provato fino all’ultimo, con il solito emendamento infilato quasi di nascosto nella manovra. È andata male, salvo ulteriori colpi di scena: il ministro dello Sport, Luca Lotti, voleva regalare a Giovanni Malagò un altro mandato alla guida dello sport italiano, come previsto del resto anche dalla legge già approvata alla Camera che però non farà a tempo a passare anche dal Senato. Ma l’ “emendamento salva-Malagò” (com’era già stato ribattezzato nei corridoi di palazzo) è stato bocciato dalla Commissione Bilancio di Montecitorio. Ora restano la carta disperata del ricorso e un paio di giorni per trovare un’altra soluzione in extremis, prima dello scioglimento delle Camere.
Com’era prevedibile, la normetta studiata dallo staff di Palazzo Chigi non ha superato il vaglio del presidente della Commissione, Francesco Boccia, che ha cassato la bellezza di duemila emendamenti inammissibili. Lo era, ed in maniera palese, anche quello firmato da quattro parlamentari (Molea, Sbrollini, Brandolin, Coccia), che proponeva di istituire un tetto di tre mandati per tutte le principali cariche sportive italiane, ma in quanto norma di carattere ordinamentale non aveva alcuna attinenza con la finanziaria. Dopo anni di discussione, un ddl ad hoc era stato approvato dalla Camera a settembre, grazie all’intesa tra Pd e Forza Italia e il via libera della Lega Nord. Sembrava solo il primo passo verso il via libera definitivo, che avrebbe fatto felice più di tutti Malagò (per lui il precedente limite era di due mandati, così ne avrebbe avuto a disposizione un terzo). Poi, però, qualcosa si è bloccato: e quando si è capito che con la fine della legislatura imminente non ci sarebbe stato tempo per fare il passaggio decisivo al Senato, è scattato l’allarme. Così al governo non hanno trovato nulla di meglio da fare che provare ad inserire di straforo la norma all’interno della manovra. Se n’è incaricato personalmente il ministro Lotti, che ha fatto preparare dal suo ufficio legislativo un emendamento, come dimostra uno scambio di corrispondenza privato di cui Il Fatto Quotidiano è in possesso. I tecnici di Palazzo Chigi avevano anche inserito un cappello alla legge, in cui si faceva riferimento ad un presunto “migliore impiego delle risorse assegnate al Coni”: un goffo tentativo di aggirare i controlli della Commissione Bilancio, visto che il numero dei mandati del presidente non ha alcun effetto sui conti pubblici.
C’è anche un piccolo giallo sulla presentazione dell’emendamento: contrariamente a quanto sembrava, il tetto dei tre mandati non avrebbe avuto valore retroattivo per gli altri capi delle Federazioni sportive, come ha precisato lo stesso Malagò. “Quello è un testo superato e tutti i presidenti federali che hanno fatto anche più di tre mandati possono concludere questo mandato e candidarsi anche al prossimo”. In realtà, l’emendamento era stato effettivamente scritto e depositato alla Camera come riportato da Il Fatto, salvo poi essere ritirato, modificato e ripresentato dagli stessi firmatari. La correzione è avvenuta su richiesta del Coni, che ha voluto ripristinare la situazione prevista dal ddl originario. Resta il dubbio sul perché l’emendamento fosse stato scritto male in un primo momento. Difficile possa trattarsi di una semplice disattenzione, visto che si trattava solo di copiare una legge già approvata: forse qualcuno nel governo ha provato ad approfittare della situazione per fare un repulisti generale nelle Federazioni sportive; o magari era solo un modo di affossare in partenza un provvedimento che il governo non ha voluto fino in fondo.
Conta poco, visto che l’emendamento è stato dichiarato inammissibile. I firmatari hanno presentato ricorso, che quasi sicuramente sarà respinto. Senza legge, nel 2020 Malagò dovrà farsi da parte e tutto lo sport italiano avrà perso un’occasione di rinnovamento che sembrava a portata di mano. Ma forse non è ancora finita. A Palazzo Chigi stanno pensando a un nuovo emendamento (presentato proprio dal governo o dal relatore, il termine per quelli parlamentari è scaduto), riscritto in maniera tale da prevedere un risparmio strutturale e quindi da essere ammissibile nella manovra. Oppure, in alternativa, ci sarebbe sempre un ddl già per metà approvato, in attesa solo del via libera definitivo di Palazzo Madama. “Boccia ha fatto bene, l’inammissibilità è giusta. C’è un progetto di legge al Senato, se la maggioranza vuole realmente approvarlo può farlo senza problemi”, ha ricordato il deputato della Lega, Guido Guidesi. A volte le soluzioni più semplici sono anche le migliori.