Carne in scatola. Fermi per sette ore sul tratto d’autostrada Aigle-Martigny, Losanna è alle nostre spalle, il passo del Sempione è davanti a noi. Ma è un miraggio. Un po’ di neve, un po’ di vento hanno mandato in tilt il paese più organizzato del mondo. Dove tutto funziona con la precisione di un orologio, ma solo se non si inceppa il meccanismo che loro credono infallibile. La neve e il Foehn c’entrano poco, tant’ è vero che nell’altra corsia il traffico scorre con normalità.
Cucù, dov’è il ministro alle Infrastrutture? A godersi il weekend davanti a un cammino scoppiettante? Perché non ha dato l’ordine di sbullonare il guardrail di divisione fra le due carreggiate e lasciare defluire la fiumana di auto nell’altro verso invece di tenerci chiusi in gabbia. In Italia, in qualsiasi altro paese, si affronta così un’emergenza. Eppure siamo in Svizzera, abituati ai fiocchi di neve, mica a Caltanissetta! Tra l’altro siamo bloccati in pieno rettilineo, a 415 metri d’altezza, mica inerpicandoci su e giù per i tornanti di un passo.
Prima di partire accendiamo la Radio Chablais, l’emittente più ascoltata del cantone de Vaud, non è trasmesso nessun bollettino di neve. Avrebbero potuto avvertirci e avremmo avuto il tempo d’invertire la rotta. Nulla neanche su inforoute.ch. Il primo bollettino meteorologico viene annunciato alla radio alle 15.30, con un ritardo di 3 ore e mezzo.
L’ordine, la proverbiale minuziosità dà sicurezza agli svizzeri. L’osservanza maniacale delle norme ad oltranza rientra nella loro visione del mondo. Una precisione da cronometro: il tempo non va sprecato, ma regolato pedissequamente. Chissenefrega se siamo carne umana chiusa nell’abitacolo della nostra auto dalle 12.10.
Dopo quattro ore non resisto: o me la faccio addosso o chiedo ai miei vicini di utilizzare la toilette del loro camper. Eva e Claude Yersin, pensionati svizzeri, mi offrono anche un pezzetto di cioccolata. Sono stata fuori a riprendere con l’i-Phone le immagini “apocalittiche” di un disastro che si poteva evitare. Ho le mani ghiacciate, Eva le prende tra le sue e me le riscalda. Piccoli gesti di un’umanità solidale che solitamente non appartiene allo svizzero. Claude e Eva sono di ritorno dai mercatini di Natale nella regione: “In 35 anni in giro con la nostra casa viaggiante, non abbiamo mai visto nulla di simile. Neve/pioggia/vento si potevano gestire con più prontezza di spirito. Ma perché accidenti non aprono l’altra corsia dove le macchine scorrono senza intoppi. Nelle auto sono bloccati anziani, bambini, donne incinte… A farci pagare le multe sono inflessibili. Ma oggi i soccorsi sono stati inesistenti”.
Il vento è calato, non nevica più, solo pioggia/grandine ma i bollettini continuano a parlare di situazione catastrofica. Bollettini “di regime” che serve solo per non far saltare qualche testa di incompetente. Le condizioni estreme si sono create solo dopo quattro ore di “sosta forzata” delle auto e solo perché la polizia stradale è stata dal mio punto di vista assolutamente incapace di gestire un po’ di neve. La tormenta di neve c’era ma sul passo del Sempione a 2005 metri d’altezza che abbiamo percorso alle 8 di sera a passo d’uomo.
E adesso non chiamatemi Cassandra, ho appena pubblicato Te la do io la Svizzera. Heidi non abita più qui, introduzione di Peter Gomez e prefazione di Gianni Barbacetto (grazie al quadrato), un saggio semi/serio sulla svizzerialità. E così mi sono trasformata nel professore Bellavista (l’alter ego di Luciano De Crescenzo). Un Bellavista 2.0 in giro per i 26 cantoni. E proprio nelle stesse ore in cui la Svizzera si seppelliva sotto una figuraccia “nevosa” i miei editori Diego e Annamaria Guida mi mandavano un sms dalla fiera “Più Libri, più liberi” che si è conclusa ieri a Roma: “La tua Svizzera tira”.
Già, perché qualsiasi cosa facciamo noi, nel bene e nel male, ci bollano con quella aria di sufficienza: ah, les italiens! Adesso siamo noi patentati a dire: ah, les swisses!
@januariapiromal