Questa mattina, come molti di voi, una delle prime cose che ho fatto è stato aprire il mio profilo Facebook. Immediatamente, mi si è palesata davanti una pagina sponsorizzata che diceva: “Libertà finanziaria: non dovrai più lavorare per vivere, perché i tuoi soldi lavoreranno per te!”.
Credo che questa filosofia di vita sia parte sostanziale della crisi bancaria che l’Italia sta pagando con i soldi di tutti noi. Certo, ci sono stati i truffatori, gli incapaci, i politici corrotti, ma alla base di tutto c’è una concezione del mondo che è cambiata. Profondamente.
Quello a cui stiamo assistendo negli ultimi venti anni è la ‘finanziarizzazione’ del mondo, ma io andrei anche oltre, dicendo che ciò che hanno finanziarizzato sono anche le nostre coscienze.
L’articolo 1 della nostra Costituzione (la più bella del mondo per un comico che poi aveva deciso di distruggerla, insieme a Renzi) recita che la Repubblica è fondata sul lavoro. Eppure questo non è più vero. La nostra Repubblica, come l’intero globo, oggi è basata sulla finanza.
Ormai ci hanno convinto che qualcosa di immateriale, evanescente, come le quotazioni della borsa di Hong Kong, o di Singapore, o di Francoforte siano più importanti della nostra vita e del nostro benessere quotidiano.
Ovviamente, questo adesso accade davvero, perché il sistema economico è stato strutturato per funzionare in questo modo. Poche persone che gestiscono gli scambi azionari nel mondo (l’1%) accumulano sempre maggiore ricchezza a danno della moltitudine che lavora (poveri imbecilli).
Soprattutto, perché questo 1% di ‘gestori dell’umanità’ non si limita a movimentare le azioni delle imprese che producono qualcosa (beni o servizi) ma le borse sono ormai divenute un gigantesco, globale casinò nel quale i giocatori scommettono su ipotesi future, non con i propri danari, ma con quelli degli altri, spesso ignari persino che i propri soldi siano stati impegnati in queste scommesse ad altissimo rischio (i casi italiani di Banca Etruria, Marche o Mps sono dolentemente palesi ed irrisolti).
Ricordate la definizione di ‘analfabetismo funzionale’ data dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a proposito dell’educazione finanziaria degli italiani? Sono persone “incapaci di adattarsi all’evoluzione della società moderna”, chiosò l’improvvido governatore al centro della bufera. Il punto è proprio questo. Hanno costruito un mondo a misura dei banditi, degli avventurieri e degli incapaci ma protetti politicamente e chi non lo accetta, è un idiota, un analfabeta.
La conseguenza di questo stato di cose, anzi di questo stato ‘mentale’ è che la dignità del lavoro oggi è considerata pari a zero. La dignità, l’unica riconosciuta da tutti, è quella dei soldi. E se il lavoro non ha più dignità, non la hanno più neanche i lavoratori. Il Jobs Act ne è la rappresentazione plastica: sei stato licenziato ingiustamente? Ti pago, ma non ti riassumo.
Sapete bene che non è sempre stato così. Tutto ciò ha un’origine storia e dei responsabili ben precisi, come viene efficacemente riportato in un libro di Elio Lannutti e Franco Fracassi, Morte dei Paschi (ed. Paper First).
La finanziarizzazione delle nostre coscienze iniziò con un presidente Usa (tanto idolatrato dall’attuale segretario del Pd), Bill Clinton. Era il 1999 quando Clinton, per mano ed istigazione del suo Ministro del Tesoro, Robert Rubin, abrogò il Glass-Steagall Act, una legge del 1933 che vietava alle banche d’affari di fondersi con le banche di risparmio e credito. La saggia misura era stata adottata da Franklin Delano Roosvelt appena eletto per risollevare un paese devastato dalla crisi del ’29. Era dai tempi di Reagan che il mondo finanziario cercava di abolire questa legge di civiltà ma a riuscirci fu appunto Rubin, ingaggiato da Clinton direttamente dalla Goldman Sachs della quale era CoPresidente.
Grazie all’abolizione di quella legge provvidenziale del ’33, nacque immediatamente una mega banca, la City Group, che incorporò cinque banche d’affari e una di commercio. Fu l’inizio di una nuova carriera per Rubin, che ne divenne amministratore delegato. L’inizio della fine per risparmiatori e lavoratori.
La società ‘opulenta’ nella quale dopo la seconda Guerra Mondiale il ceto medio aveva prosperato e si era elevato socialmente stava per finire e l’epilogo lo hanno crudelmente scritto le crisi dei subprime e dei derivati che alla fine hanno trascinato nel gorgo della follia finanziaria anche le banche italiane. Il grande economista liberal John Kenneth Galbraith (1908-2006) individuò almeno cinque fattori di grave debolezza nell’economia americana causa della crisi del 1929:
– cattiva distribuzione del reddito;
– cattiva struttura o cattiva gestione delle aziende industriali e finanziarie;
– cattiva struttura del sistema bancario;
– eccesso di prestiti a carattere speculativo;
– errata scienza economica (perseguimento ossessivo del pareggio di bilancio e quindi assenza di intervento statale, considerato un fattore penalizzante per l’economia).
Vi ricorda qualcosa?
Buona Europa e buon Mario Draghi a tutti.