Come nei gialli di serie B, in cui l’assassino ritorna ancora una volta sul luogo del delitto. Clinicamente dicesi “coazione a ripetere”.

Ossia il crimine politico ricorrente di mettere alla testa della propria coalizione un personaggio-civetta, scelto prevalentemente per ragioni di marketing (tipo aspetto, visibilità, telegenicità) ma anche (soprattutto?) per tacita sottomissione caratteriale alla guida effettiva dei manovratori nell’ombra.

Già fu così nelle elezioni politiche del 13 maggio 2001, quando i soloni dell’Ulivo contrapposero all’ormai arrembante Silvio Berlusconi un candidato scelto per i criteri estetici/caratteriali di cui sopra: Francesco Rutelli, detto “il piacione”, che finì stracciato dal piazzista di Arcore (copy Indro Montanelli) con ben quindici punti di distacco. E nonostante gli aiutini del governo uscente, presieduto dal presunto “dottor sottile” Giuliano Amato, che escogitò la bella trovata, poi rivelatasi una ciofeca, di varare la modifica del Titolo V della Costituzione (competenze dell’Ente Regione); per tagliare l’erba sotto i piedi ai leghisti alleati con Berlusca e attribuirsi la nomea, allora di moda, di “devoluzionisti” in versione soft. Una mossa avventata che si tradusse in autogol, regalandoci le future malefatte del personale politico regionale, che nelle nuove praterie di competenze e fondi si rivelò la componente più corrotta e corruttibile dell’intera corporazione del potere (vulgo Casta).

Ora l’operazione-immagine viene ripetuta a sinistra con la proclamazione, senza votazione, di Pietro Grasso, presunto bomber nel rassemblement dei frammenti a sinistra del Pd (collocazione che non richiede troppo sforzo, stante l’ultima metamorfosi dell’antico PCI in senso renziano: il blairismo in ritardo di vent’anni).

Se tutto questo si riduce all’obiettivo di assicurare un seggio parlamentare a notabili & notabilini reduci da mille naufragi, si può presumere un esito in linea con le attese. Se invece – come si sgola a dire il duo Montanari-Falcone – l’aspirazione dovrebbe essere quella di costituire un soggetto in grado di intercettare i delusi della sinistra con una proposta convincente – beh – siamo lontani mille miglia da tale risultato.

Perché, con buona pace dei Montanari-Falcone e le loro fisime “rosso antico”, non meno dei carrieristi che sventolano la bandiera Grasso, il vero problema è che né qui né là esiste un minimo di base concettuale per connotare un soggetto di sinistra del Terzo Millennio. E non lo si capirà fin quando chi si appunta al bavero quella nobile tradizione non si renderà conto che la soluzione non è scimmiottare a destra i miti comunicativi della leadership come immagine. Neppure inseguire a sinistra parole d’ordine obsolete che marchino identità/appartenenza. Lo stesso problema incontrato dai simpatici vecchietti Sanders e Corbyn, preziosi nel liquidare i cascami del blairismo-clintonismo, ma con una cassetta delle proposte tragicamente novecentesca.

Andando giù piatto, in una società deindustrializzata, in cui le catene del valore sono intrecciate da finanza e logistica, proporre la nazionalizzazione di quel che resta delle attività produttive equivale alla pretesa di catturare una balena col retino da farfalle.

Semmai molto più fertile sarebbe recuperare spezzoni di analisi in corso, che vanno dall’utilizzo strategico dell’investimento di Stato per ricostruire capitale sociale e declinare politiche industriali nel mondo postindustriale, alla rivitalizzazione della democrazia come discorso pubblico partecipato a partire dalla dimensione civica. Il motivo per cui, nel declino del pensiero anglo-americano, guardo con interesse a elaborazioni in gestazione nel mondo iberico e latinoamericano. Il nuovo mondo del dopo globalizzazione finanziaria, che è giunto persino in Vaticano (sempre che non riescano a rifilargli un certo caffè all’arsenico…).

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