Secondo la procura di Trani, la "strategia aziendale" era "finalizzata ad accrescere la produttività" e quindi gli "utili ricavabili". Venti situazioni critiche registrate tra il 2003 e il 2015 - è la tesi dei magistrati - avrebbero dovuto spingere gli amministratori a investire sull'adeguamento tecnologico. Invece, due mesi prima della strage, i soci si spartirono 2,5 milioni di euro di utili del bilancio 2015
L’ultima volta era accaduto il 21 ottobre 2014, quando un treno era partito proprio dalla stazione di Andria “senza via libera”. Di episodi identici sulla linea Bari-Barletta se n’erano registrati altri 6 tra il 2003 e il 2015, erano state aperte le inchieste disciplinari – senza però segnalare le ‘situazioni critiche’, venti in tutto, alle autorità competenti – ma Ferrotramviaria non avrebbe fatto nulla per migliorare la situazione eliminando il blocco telefonico, definito “obsoleto”. Anzi, secondo la procura di Trani, i soci pensavano alle loro tasche: due mesi prima dello scontro tra i treni sulla tratta Andria-Corato nel quale morirono 23 persone, “venivano distribuiti ai soci” 2,5 milioni di euro “a titolo di dividendo” grazie a 4,74 milioni di utile del bilancio 2015.
L’amministratore delegato e il consiglio d’amministrazione, sostengono i magistrati nell’avviso di conclusione indagine inviato alle 18 persone sotto inchiesta e alla stessa Ferrotramviaria, lo fecero “pur essendo a conoscenza del grave quadro di criticità organizzativa e gestionale in cui versava” l’azienda, con particolare riferimento “alla sicurezza dell’esercizio ferroviario in regime di blocco telefonico“. Sapevano, secondo il procuratore Antonino Di Maio e il pool di pm che ha fatto luce sulle cause del disastro ferroviario, che c’erano dei rischi proprio grazie a quelle 20 inchieste disciplinari aperte nei tredici anni precedenti all’incidente.
Campanelli d’allarme rimasti inascoltati e citati più volte dai magistrati, convinti che la “strategia aziendale” di amministratori e dirigenti fosse “finalizzata ad accrescere la produttività della infrastruttura ferroviaria gestita da Ferrotramviaria” e quindi “agli utili ricavabili”. Enrico Maria Pasquini, sua figlia Gloria, il direttore di esercizio Michele Ronchi, direttore generale Massimo Nitti e il dirigente della Divisione Infrastruttura Giulio Roselli avrebbero perseguito quel fine indirizzando “progressivamente” i finanziamenti – stanziati dalla Regione Puglia e destinati “alla implementazione tecnologica” della tratta – verso “interventi volti ad incrementare la capacità dell’infrastruttura e la qualità del servizio” ma “non la sicurezza della circolazione”.
Per questo, sostiene la procura di Trani, “omettevano di realizzare l’adeguamento tecnologico”, installando un Blocco conta assi o il Sistema di controllo della marcia dei treni. Quei due sistemi di sicurezza, dei quali ilfattoquotidiano.it parlò già nei giorni successivi alla tragedia, sarebbero stati “idonei a garantire il miglioramento dei livelli di sicurezza della circolazione ferroviaria”. Da queste condotte, concludono i magistrati, “derivava” il disastro ferroviario causato dalla collisione frontale dei due treni.