C’è una nobile campagna appena partita su change.org sponsorizzata da un gruppo di ginecologhe e ginecologi (ma non solo), che punta a rendere gratuita la contraccezione in Italia. Pillole, anello vaginale, cerotto, preservativi e spirali dovrebbero essere a carico dello Stato e non delle donne, a maggior ragione in un paese come l’Italia dove le pillole anticoncezionali e le spirali sono le più care d’Europa.

La contraccezione è una meravigliosa opportunità di godere del piacere sessuale senza doversi preoccupare delle conseguenze, è il frutto consumato dal quale ci si può saziare con infinita leggerezza; negarsene l’utilizzo può creare sulla donna conseguenze devastanti e dalla lunga durata. Tuttavia, in Italia solo il 16% delle donne usa la pillola (al pari di Iraq e Botswana) rispetto alle francesi (41,5%), alle tedesche (52,6%) o alle portoghesi (58,9%).

Rendendo gratuiti questi farmaci definiti “essenziali” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità si permetterebbe alle donne dentro una fascia di povertà di non farne una questione economica. Tributare prioritaria a livello politico una tematica (quasi) interamente femminile, come la scelta consapevole e ragionata di avere un figlio, sarebbe un segnale civile importante poiché riconoscerebbe in pieno alle donne la libertà di decidere del proprio corpo e del proprio futuro. Una donna ‘incastrata’ da una gravidanza inattesa è una donna amputata nelle proprie aspirazioni individuali e personali. Ma certo non si può delegare unicamente alla società e alla legge le proprie responsabilità, il fatto che solo il 16% delle donne italiane usi la pillola rende indispensabile fare anche altre valutazioni.

Lo scarso utilizzo ha a che fare con falsi miti e ignoranza, come ad esempio temere ancora che le pillole di nuova generazione facciano aumentare la ritenzione idrica o prendere peso, o peggio ancora aggrapparsi a metodi contraccettivi casalinghi come il coito interrotto o il calcolo dei giorni fertili. Tra le giovanissime c’è poi confusione e scarsa conoscenza della sfera sessuale e dei rischi legati al sesso, il 37% delle ragazze ha il suo primo rapporto senza precauzioni. In questo scenario ci sono due parti in causa da individuare.

Da un lato c’è la famiglia, che deve assumersi l’onere di far chiarezza su un argomento ancora fonte di imbarazzo e che i genitori tendono a demandare agli amici dei figli o alla casualità. Fa riflettere come in una società dove sexy shops e pornografia sono sdoganati e vengono ampiamente utilizzati, si faccia ancora fatica a guardare i propri figli adolescenti negli occhi e trasmettere loro con serenità alcuni concetti fondamentali. L’altra parte verso la quale puntare il dito è la scuola.

Una scuola moderna non può escludere dalla propria istruzione una tematica importante come l’approccio alla sessualità. Bisogna assegnare a un esperto, a un professore ispirato o quantomeno giovane di trattare l’argomento, e non la solita professoressa di religione il cui ultimo rapporto risale al paleocene e che ne darebbe una lettura in chiave mistico-ascetico.

Bisogna trovare un lessico che si appiccichi ai giovani, diretto e senza virtuosismi, trovare qualcuno che parli la loro lingua.

E’ incredibile pensare che all’alba del 2018 nella scuola italiana si trovino ancora risorse (a partire dalla scuola dell’infanzia) per parlare di concetti inconsistenti come dio mentre della salute e del futuro dei propri studenti le menti impiegate scarseggino.

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