È una vittoria straodinaria, e sino a qualche tempo fa impensabile, quella che il democratico Doug Jones ha ottenuto per il seggio di senatore in Alabama. Mentre resta ancora qualche voto da scrutinare, Jones ottiene il 49,9 per cento dei consensi; il repubblicano ed ex giudice Roy Moore si ferma il 48,4. È un risultato che ha le conseguenze di un terremoto sulla politica nazionale. La maggioranza repubblicana al Senato viene ridotta a un solo seggio. Soprattutto, la sconfitta di Moore appare come una bocciatura senza appello per Donald Trump, le sue politiche, il suo anno di presidenza.

Doug Jones è stato capace di capitalizzare soprattutto le accuse di molestie sessuali che si sono abbattute su Moore durante la campagna elettorale. Il candidato repubblicano è stato infatti il favorito, in uno Stato profondamente conservatore come l’Alabama, fino a quando una donna, Beverly Young Nelson, non è venuta allo scoperto accusando Moore di averla molestata fisicamente quando lei aveva 16 anni. Da quel momento, altre sette donne hanno pubblicamente affermato di essere state fisicamente attaccate; molte di queste sarebbero state minorenni al tempo delle avances. Da un’inchiesta del Washington Post è emerso che le abitudini di Moore erano ben conosciute in Alabama. Un centro commerciale, il Gasden Mall, vietò a Moore l’entrata; era lì che l’ex giudice cercava le sue vittime.

Roy Moore ha sempre rigettato ogni accusa; anche Donald Trump, che ha preso posizione a suo favore in molte occasioni, ha detto di credergli. Non gli hanno creduto invece gli elettori dell’Alabama – su cui hanno agito le accuse di violenze sessuali contro Moore, ma anche la personalità fieramente conservatrice e cristiano-millenaristica del candidato repubblicano (Moore crede che la politica sia governata da Dio, ha più volte equiparato i gay alle bestie e crede che l’Islam sia “una falsa religione”). La stessa leadership repubblicana di Washington, a cominciare da Mitch McConnell, è rimasta molto fredda; l’altro senatore G.O.P. dell’Alabama, Richard Shelby, ha preso la decisione clamorosa di non appoggiare Moore.

Da una prima analisi del voto, appare come Jones abbia tratto beneficio da un consistente aumento dell’affluenza al voto degli afro-americani, soprattutto nelle aree urbane di Birmingham, Tuscaloosa, Montgomery, Mobile. Oltre al voto dei neri, il candidato democratico ha conquistato consensi nella borghesia urbana: la Madison County, centro dell’industria aerospaziale, ha fatto vincere Jones per un margine di 57 contro 40 (qui, nel 2016, Trump aveva battuto Hillary Clinton 55 contro 38). A Moore sono andate invece le contee rurali e quelle dove il voto bianco e popolare è predominante. Una spaccatura che non è stata sufficiente a dare ai repubblicani la vittoria.

Alle dieci di sera di Birmingham, Jones è apparso a un party offerto in suo onore. “Amici, ve lo devo dire, ho atteso questo momento tutta la mia vita, e ora non so cosa dire”, ha spiegato, emozionato. “Ho sempre pensato che la gente dell’Alabama abbia in comune molto di più di quanto ci divide – ha continuato, nell’evidente tentativo di sanare la ferita aperta da una campagna elettorale molto violenta – Questa elezione non ha mai riguardato me e Moore. Questa campagna ha riguardato la dignità e il rispetto. Questa campagna ha riguardato la cortesia e la decenza e la certezza che chiunque in questo Stato, a prescindere dalla zona in cui vive, riesca a ottenere quanto gli è dovuto”.

La vittoria di Jones crea un problema enorme per i repubblicani al Senato. A questo punto, la loro maggioranza si riduce a 51 voti contro 49. È un vantaggio molto esiguo ed è soprattutto un vantaggio che non assicura ai repubblicani i voti per far passare molte delle loro riforme. La legge fiscale, che dovrà tornare in aula dopo il voto della Camera, è a questo punto a rischio. C’è già un senatore repubblicano, Bob Corker, che ha manifestato il suo dissenso. Basta un’altra defezione, tra i senatori repubblicani (magari Susan Collins del Maine, che ha espresso molti dubbi) perché la riforma che rivoluziona il sistema fiscale americano cada e venga abbandonata dal Congresso.

La sconfitta di Moore, tanto più cocente perché l’Alabama aveva incoronato Trump presidente con 28 punti di vantaggio su Hillary Clinton, è però una durissima presa di distanza e al tempo stesso una condanna senza appello proprio per la Casa Bianca. Trump, in un tweet, ha riconosciuto la vittoria di Jones: “Congratulazioni a Doug Jones per la vittoria dopo la dura battaglia… La gente dell’Alabama è grande e i repubblicani avranno un’altra occasione per questo seggio in pochissimo tempo. La sfida non finisce mai!” Il riferimento è al fatto che il seggio verrà di nuovo conteso il prossimo novembre, nelle elezioni di midterm. La realtà è però che il voto è un campanello d’allarme proprio per il presidente. Il seggio conquistato da Moore è quello che, da anni, Jeff Sessions vinceva facilmente. Sessions ha lasciato il Senato per diventare prima ascoltato consigliere e poi attorney general di Trump (e per questo coinvolto nel Russiagate). Non ci potrebbe essere dunque legame più stretto tra queste elezioni e la politica nazionale portata avanti dalla Casa Bianca in questi mesi.

A questo punto i democratici attendono con più fiducia le elezioni di midterm. Per i repubblicani inizia invece un periodo difficile; inizia soprattutto il tempo delle valutazioni più generali, legate all’influenza di Trump sulla tenuta elettorale e sulla natura politica del G.O.P. Chi esce però forse peggio, da queste elezioni, è Steve Bannon, il capo di Breitbart News, l’ex capo stratega di Trump alla Casa Bianca. Bannon, proprio in vista del midterm, voleva cercare di imporre ai repubblicani una serie di candidati dall’anima fortemente conservatrice e populistica. La sconfitta di Moore, che Bannon ha guidato per tutta la campagna elettorale, è una brutta battuta d’arresto. E dà probabilmente, all’establishment repubblicano di Washington, un momento di requie, dopo il drammatico spostamento a destra del partito causato dalla vittoria alle presidenziali di Trump.

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