Diritti

Adesso che il Biotestamento è legge, abbiamo un’altra battaglia da vincere

La legislatura finisce con una bella vittoria nel campo dei diritti civili: la legge sul testamento biologico, a mio parere, è importante quanto le grandi vittorie sul divorzio e sull’aborto. E la vittoria è stata segnata da una larga maggioranza e da un dibattito conclusivo, al Senato, tutto sommato civile, malgrado le tesi “clericali” degli oppositori e le false accuse di “eutanasia nascosta”. Purtroppo, invece, nella legge non siamo riusciti a far passare l’eutanasia. Al momento, la sola eutanasia che vedo è quella clandestina che si pratica ampiamente negli ospedali e nelle cliniche anche cattoliche: 20mila casi ogni anno, secondo una ricerca ponderosa dell’Istituto Mario Negri diretto dal professor Silvio Garattini.

Dal suicidio di mio fratello Michele, malato terminale di leucemia, nel marzo del 2004, sono passati tredici anni, in cui ho dedicato tutte le mie energie a questa difficile battaglia contro il tabù della “vita dono di Dio” e la spietata opposizione di teodèm e gerarchie vaticane, che hanno provocato innumerevoli vicende umane drammatiche, di cui i casi Welby ed Englaro e quello più recente del Dj Fabo sono solo i più tristemente noti.

Sottolineo tre importanti novità della legge:

1) rende vincolanti per i medici, cum grano salis, le dichiarazioni di volontà contenute nelle disposizioni anticipate di trattamento (Dat);

2) fa cadere l’eterna disputa su alimentazione e idratazione artificiali, che non possono più essere considerate come “sussidi vitali” ma sono definite “terapie”, in quanto tali rinunciabili dal malato in forza dell’articolo 32 della Costituzione, per il quale “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario”;

3) “In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari”, consente al medico di ricorrere alla sedazione profonda continua, in associazione con la terapia del dolore e con il consenso del paziente;

Se questa legge fosse già stata in vigore, grazie alla norma del punto 2) non si sarebbero verificati gran parte dei casi clamorosi degli ultimi dieci anni (Welby ed Englaro, per citare solo i due più noti). E grazie alla norma di cui al punto 3) si sarebbero evitati molti dei suicidi di malati che si verificano ogni anno in Italia. Infatti, trattandosi per lo più di malati terminali, essi avrebbero potuto morire serenamente nel proprio letto grazie a una sedazione, anziché essere spinti dalla disperazione al loro gesto estremo. Fra loro, mio fratello Michele, al quale dedico questa vittoria.

Infine, per non fermarmi a questo importante risultato, accenno a un punto di grande rilevanza.

L’articolo 580 del codice penale – che prevede pene fino a dodici anni per l’istigazione e l’aiuto al suicidio e in forza del quale Marco Cappato è sotto processo a Milano – potrebbe ben essere definito “clerico/fascista”, visto che il “Codice Rocco” è stato varato nel 1930, all’inizio degli “anni del consenso” per Mussolini e solo un anno dopo il Concordato, che diede al Vaticano poteri e privilegi incredibili per uno Stato laico. Non a caso, decine di norme di quel codice sono state abolite negli anni Settanta (cito per tutte il “delitto d’onore”, il “matrimonio riparatore”, l’adulterio e il concubinato), mentre non si è pensato – o non è stato possibile – toccare l’articolo 580.

Eppure, basterebbe aggiungere un comma di questo tenore: “L’aiuto al suicidio non è punibile se ricorrono le seguenti condizioni:

a) il richiedente è un malato terminale o senza speranza di guarigione, con insopportabili sofferenze fisiche o psichiche;

b) il richiedente, nel pieno delle proprie facoltà mentali, dichiara di voler essere aiutato a morire;

c) chi presta il proprio aiuto a morire non ha alcun movente economico ed agisce esclusivamente per motivi compassionevoli”.

Ma questo sarà il nostro impegno per la prossima legislatura.