Hanno parlato di “operazione verità”, arrivando a definire una “fake news” la Terra dei fuochi. Ma la campagna tranquillizzante messa in piedi dal governatore Vincenzo De Luca insieme all'Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno, seppure avvalorata da dati scientifici, racconta solo una parte della storia.
Hanno parlato di “operazione verità”, arrivando a definire una “fake news” la Terra dei fuochi. Ma la campagna tranquillizzante messa in piedi dal governatore Vincenzo De Luca insieme all’Istituto zooprofilattico del Mezzogiorno, seppure avvalorata da dati scientifici, racconta solo una parte della storia. Prova che i prodotti agricoli campani non sono contaminati, e che la popolazione sana ha nel sangue una concentrazione di metalli pesanti (non diossine, non ancora indagate) inferiore alla media nazionale. Ma non dice, come invece denuncia Legambiente, che le bonifiche sono ferme a meno dell’1% del territorio, che la piana di Giugliano è una bomba a orologeria e che tra la popolazione ammalata rimangono eccessi di mortalità anche per forme di tumore correlabili a fattori ambientali. In un quadro in cui la Terra dei fuochi appare in realtà tutto meno che una bufala.
Suoli tossici
Rendendo pubblici i risultati di tre progetti “nati per dare una risposta scientifica all’allarme mediatico sulla Terra dei fuochi e alle preoccupazioni e speculazioni che ne sono seguite”, a inizio dicembre l’Istituto zooprofilattico di Portici, in provincia di Napoli, ha dichiarato che la superficie dove per gli alti livelli di contaminazione da metalli pesanti e diossine l’agricoltura è stata vietata è solo di 33 ettari. I terreni dove si erano individuate delle criticità erano inizialmente 40mila ettari, al momento ne è stato analizzato l’80%. Dunque tutto a posto? Non proprio. Se è vero che le concentrazioni di diossine e Pcb sono sotto i livelli di guardia e, come confermato da uno studio dell’Arpa Campania del 2012, “in linea con altre aree del territorio nazionale caratterizzate da forte antropizzazione”, c’è comunque “un accumulo nell’ambiente” da tenere sotto controllo “al fine di evitare che i livelli ambientali di queste sostanze si possano ulteriormente avvicinare ai limiti ritenuti cautelativi”.
Bonifiche ferme a meno dell’1%
Alcune aree, inoltre, risultano particolarmente compromesse. Secondo una relazione dello stesso Istituto zooprofilattico depositata presso la commissione Igiene e sanità del Senato, infatti, ad Acerra sono impossibili da coltivare l’80% dei suoli, il 73% a Succivo, il 70% a Caivano e il 10% a Giugliano. La terra di Acerra è un mix tossico: sono critici i parametri di concentrazione di diossine, idrocarburi pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, alcuni metalli pesanti. A Caivano a destare l’allarme sono i livelli di diossine, policiclici aromatici e piombo. E la coltivazione e il pascolo di animali sono stati vietati a inizio novembre anche su quasi 80 ettari di terreni agricoli intorno a una cava nel comune di Maddaloni, in provincia di Caserta, dove per anni sono stati sversati rifiuti pericolosi. Contando anche questi campi, che l’istituto non considera, le superfici contaminate sarebbero non 33 ettari, ma più del triplo. “Oggi la parola d’ordine è ridimensionare. Negare no, non è più possibile. Ridimensionare, sì. Ed ecco il topolino emergere dalla sommità della montagna”, attacca in una lettera al quotidiano Avvenire don Maurizio Patriciello, sacerdote da sempre in prima linea nella denuncia dell’inquinamento nella Terra dei fuochi. “Speriamo che adesso non si dica che la Terra dei fuochi è un’invenzione di stampa e ambientalisti e che il problema non esiste. Servono subito le bonifiche, ancora ferme a meno dell’1%”, dice a ilfattoquotidiano.it il presidente di Legambiente Campania Michele Buonomo.
Disastro ambientale a Giugliano
Anche sul fronte delle acque la situazione non è del tutto tranquillizzante. A ilfattoquotidiano.it, il direttore dell’istituto zooprofilattico Antonio Limone spiega: “La qualità delle acque sotterranee è sostanzialmente buona, con esami quasi tutte favorevoli, per quelle superficiali ci sono alcune criticità nell’area domizio-flegrea. Ma non è possibile tradurre in un numero i risultati”. Numeri, però, e molto precisi, li dà una una perizia realizzata dal geologo Giovanni Balestri per la Dda di Napoli sull’area della piana di Giugliano. Nel suo studio, il consulente della Procura individua infatti “una forte contaminazione antropica della falda acquifera” per un’estensione di 221 ettari causata dal percolato di una serie di discariche, tra cui Resit, e destinata ad espandersi nei prossimi decenni. “Il culmine della contaminazione, già avvenuta della falda, è stato calcolato, avrà luogo non più tardi di 50 anni (nel 2060), coprendo così un arco temporale complessivo di circa 80 anni (dalla prima contaminazione sino al suo culmine). La contaminazione del percolato, al fondo e al bordo degli invasi non a tenuta, se non confinato con tecniche di bonifica, continuerà inesorabile per altri 70 anni da oggi (sino al 2080), e così via. Per quanto riguarda il biogas, nella situazione attuale, cioè senza interventi di bonifica, vi sarà una forte migrazione nel sottosuolo e dispersione in atmosfera per almeno altri 10-15 anni”, si legge nella perizia. Davvero, di fronte a una prospettiva così allarmante si può affermare che la Terra dei fuochi è una fake news?
Dati solo su persone sane
Anche sul fronte della salute, il dato dell’Istituto zooprofilattico è positivo, ma al momento racconta solo un aspetto della questione. Il risultato finale, che ha messo in luce una concentrazione di metalli pesanti nel sangue inferiore del 4,7% alla media nazionale e del 10% rispetto alla media del Nord Italia rispetto al piombo, è il risultato di analisi condotte su 4.200 cittadini volontari sani con un’età tra i 20 e i 50 anni, residenti in aree a diverso rischio ambientale. Il monitoraggio di queste persone servirà ad analizzare nel tempo le dinamiche di insorgenza delle malattie, ma per avere idea dello stato di salute dei campani questi numeri da soli non bastano. Da una parte c’è il fatto che mancano al momento dati sulla concentrazione nel sangue di contaminanti organici, tra cui diossine e Pcb, sostanze che possono essere legate anche allo sversamento e alla combustione di rifiuti.
“Non siamo come ci hanno descritti”
Non bisogna poi dimenticare i dati sulle patologie tumorali in Campania. La relazione approvata a fine novembre dalla commissione Igiene e sanità del Senato al termine dell’indagine conoscitiva sugli effetti dell’inquinamento ambientale nella Terra dei fuochi non è altrettanto tranquillizzante. Il documento individua in quest’area tassi di incidenza oncologica più alti del 46% negli uomini e del 21% per le donne rispetto alla media del Sud Italia. Rispetto ai dati nazionali, ci sono tassi di incidenza più alti per entrambi i generi per i tumori del fegato, nei maschi per i tumori del polmone, fegato melanoma della cute, sarcoma di Kaposi e maligni della vescica. Uno studio dell’Istituto superiore di sanità del 2016 aveva individuato nella stessa area “una serie di eccessi della mortalità, dell’incidenza tumorale e dell’ospedalizzazione per diverse patologie, che ammettono fra i loro fattori di rischio accertati o sospetti l’esposizione a inquinanti emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e di combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi, sia solidi urbani”. E i tumori infantili in Campania continuano ad aumentare. Dall’Istituto zooprofilattico Limone spiega a ilfattoquotidiano.it che gli studi vanno avanti e interesseranno anche persone malate, ma intanto rassicura: “In Campania non c’è una correlazione tra inquinamento e tumori al punto tale da darle la maglia nera di una regione dove le persone muoiono in modo così devastante a causa di un ambiente inquinato. Sicuramente come ci hanno descritti non corrisponde alla realtà”.