Il trucco era lo stesso dei camorristi, il girobolla che trasforma rifiuti pericolosi in scarti inoffensivi. Le stesse aziende, più che capannoni per trattare la spazzatura, sembravano le ville inespugnabili dei capiclan. Gli arrestati di Livorno non c’entrano niente con le attività mafiose della Terra dei Fuochi, ma ne avevano replicato il know-how. Anche la Toscana, e da tempo, ha scoperto che la monnezza è oro. Basta falsificare le carte e saltare le prescrizioni, con mosse collaudate che nel caso della Lonzi Metalli, che da decine di anni è uno dei centri maggiori di raccolta di Livorno, erano la regola. Proprio la Lonzi, secondo l’inchiesta della dda di Firenze e della Procura di Livorno (che ha portato a 6 arresti, 5 interdizioni e a due imprese sequestrate), era il fulcro di un sistema criminale specializzato nella gestione illecita dei rifiuti. Segnato dalla stessa noncuranza delle regole e del bene comune a cui ci hanno abituato le cronache giudiziarie sui Casalesi, unita a una certa indolenza del carattere livornese: nelle intercettazioni non si contano i M’importa una sega, uno di questi è dedicato perfino ai bambini di una scuola. “I bambini si ammalano? Che muoiano, m’importa una sega a me se si sentono male”. M’importa una sega: non me ne frega niente.


video diffuso dai carabinieri forestali

“L’importante è che sulla carta sia tutto a posto”, ripetono gli indagati nelle intercettazioni. Un sistema che ha fatto arrivare in due discariche tra le colline e il mare dell’alta Maremma qualcosa come 200mila tonnellate di rifiuti pericolosi mai trattati. I danni ambientali sono incalcolabili e le responsabilità, dice a ilfattoquotidiano.it chi ha effettuato le indagini, vanno cercate anche nei sistemi di controllo: “E’ netta la sensazione che siano inadeguati”. Tanto che le irregolarità riguardano anche una discarica di proprietà interamente pubblica, quella di Scapigliato, che si trova a Rosignano, a sud di Livorno, e l’Aamps, l’azienda di raccolta rifiuti del Comune di Livorno (al momento non indagata).

Come Fort Knox
“Strutture blindate come Fort Knox. C’è da chiedersi che bisogno ha la monnezza di tanta protezione”, si domanda retoricamente il procuratore di Livorno Ettore Squillace Greco, che ha fatto partire le indagini nel 2015 da sostituto, quando lavorava alla Dda fiorentina. Le mura altissime e le telecamere a circuito chiuso servivano a proteggere da sguardi indiscreti quello che si faceva e a dissimulare meglio quello che invece si dichiarava solo sulla carta ma in pratica non avveniva. Alla Lonzi Metalli e alla vicina RaRi – la prima di fatto controllata da Emiliano Lonzi, ai domiciliari con la moglie e altri collaboratori, e la seconda di sua proprietà – si provvedeva a mascherare i rifiuti pericolosi da scarti inoffensivi. A volte si trituravano e miscelavano insieme i rifiuti arrivati da aziende di mezza Italia, altre volte alla spazzatura si cambiava solo il codice identificativo. Anche “senza neppure toccare terra”, come dicono gli atti dell’inchiesta: il camion entrava e usciva dallo stabilimento in pochi minuti, giusto il tempo di falsificare i documenti di trasporto. “La stessa disposizione logistica dell’impianto sembra essere stata concepita per gestire illecitamente i rifiuti”, annota il gip Angelo Antonio Pezzuti nell’ordinanza. Il record, registrano i Carabinieri Forestali che hanno condotto le indagini, si raggiunge il 26 maggio 2016, quando un automezzo della Ferdeghini Agostino di La Spezia sosta dentro l’impianto appena un minuto.

Rifiuti “non troppo chanel”
L’importante era salvare il più possibile le forme, a partire dai documenti: basta che “la carta sia tutto a posto. Non penserai mica che tutto il materiale che entra in RaRi io lo inertizzi”, spiega il gestore dell’azienda Mauro Pelandri (ai domiciliari) a un dipendente preoccupato per le irregolarità. Anche i rifiuti non dovevano dare nell’occhio all’apparenza: “Però mi raccomando che non abbiano odori”, dice il responsabile del piazzale della Lonzi Stefano Fulceri (anche lui arrestato) alla proprietaria di un’azienda fornitrice. Un’altra volta per rimarcare il concetto le scrive: “Ciao domani uno non troppo chanel”. Le aziende ottenevano probabilmente prezzi per lo smaltimento molto concorrenziali, ma dovevano sottostare alle regole di Lonzi e RaRi. “Se lui pensa di fa’ il finocchio col mi culo, con me ha sbagliato!”, dice Palandri a Fulceri lamentandosi di un fornitore “poco diligente”. Tra le alte mura poteva capitare di tutto, anche che un rifiuto altamente pericoloso per la salute venisse declassato, eliminando il codice legato alla tossicità per la riproduzione umana. “Nelle caratteristiche avete messo l’H5 e l’H10, noi l’H10 non ce lo abbiamo nel..per noi l’H10 non va bene”, spiega l’impiegata di Lonzi alla dipendente di un’azienda piemontese, che quindi falsifica la documentazione. Sulla carta erano rifiuti non pericolosi, ma nella realtà poi si trattava di vernici, imballaggi contaminati da sostanze pericolose, filtri dell’olio motore, rifiuti sanitari, farmaci, guaine catramate.

Il girobolla, “come Ciccio Bello”
A quel punto i camion carichi di monnezza pericolosa, a volte tossica, si avviavano verso due discariche in provincia di Livorno gestite da società a partecipazione pubblica: il sito di Scapigliato di Rea Impianti, nel comune di Rosignano Marittimo, o quello di Piombino di Rimateria, nonostante quei rifiuti, chiarisce il gip, fossero “inidonei al conferimento in discarica”, perché non trattati e non recuperati. “Tale comportamento non sarebbe attuabile se non con la piena complicità delle discariche alle quali vengono conferiti i rifiuti che accettano indistintamente gli stessi senza mai controllarli o effettuando dei controlli a campione concordati” nonostante gli obblighi di legge, aggiunge il gip. Così, i mezzi della Ferdeghini di La Spezia facevano la stessa cosa concessa a un’altra società, la Fbn di Prato, attraverso il suo collaboratore chiamato dagli interlocutori “Ciccio Bello”: “Poi con lo stesso camion riparte e va in Rea”, dicono in una conversazione intercettata due della RaRi. Proprio come nella Terra dei fuochi, spiega ancora a ilfatto.it chi ha svolto le indagini, “l’aggiramento delle regole di corretta gestione dei rifiuti è ormai perfettamente operativo anche in Toscana”. Stando alle carte dell’inchiesta, da Ra.Ri alcuni carichi andavano anche alla discarica di Bulera, in provincia di Pisa, sul cui progetto di ampliamento – controverso –ilfattoquotidiano.it ha scritto più volte nei mesi scorsi.

“Se uno comincia a selezionare, rifiuti non se ne trova eh?”
Il gip ha inflitto anche un’interdittiva di un anno allo sviluppo di attività imprenditoriale o direttiva nei confronti di due responsabili della discarica di Scapigliato, gestita dalla società interamente pubblica Rea Impianti: il procuratore e gestore della discarica Massimiliano Monti e la responsabile accettazione rifiuti Dunia Del Seppia. In una telefonata lui dice a lei: “Se uno comincia a selezionare no quello no, no quello no, no quello no, no quello no, no quello no, i rifiuti non se ne trova poi eh”. Non bisogna essere troppo schizzinosi, è il concetto. “Non servivano competenze particolari per accorgersi che quei rifiuti erano pericolosi – racconta a ilfatto.it un investigatore che ha svolto le indagini – L’odore era nauseabondo, facevano lacrimare gli occhi. Ma il meccanismo era ben oliato: subito dopo il conferimento, arrivava un altro mezzo che ricopriva tutto di terra”. Il danno ambientale è gravissimo e non sarà facile da rimediare: “Nelle due discariche ci sono una marea di rifiuti pericolosi. Servirà una bonifica ma anche solo trovarli sarà molto complicato, perché sono mischiati ai rifiuti urbani provenienti dalle raccolte ordinarie dei comuni”.

Irregolarità anche da Aamps
Un’inchiesta che, ci tiene a precisare Squillace Greco, “conferma il patrimonio di professionalità ed esperienza rappresentato dalla Forestale. Una ricchezza accumulata negli anni che sarebbe un peccato se andasse dispersa”. E presto nel registro degli indagati, dove sono iscritti oltre 50 soggetti, potrebbero finire altre aziende che portavano i rifiuti a Lonzi Metalli e RaRi. Possibile che non sapessero niente di quello che avveniva una volta oltrepassate le mura di “Fort Knox”? Credibile che non si siano mai chieste il perché di quei prezzi così vantaggiosi? La gestione illecita dei rifiuti, scrive il Gip, ha interessato “anche una serie di altre compagini per le quali è necessario tuttavia acquisire ulteriori dati documentali”. Le irregolarità hanno interessato per esempio l’Aamps, al cento per cento del Comune di Livorno.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

“Siamo a completa disposizione degli inquirenti che stanno portando avanti questa indagine in Toscana. A noi interessa che sia fatta piena luce sull’intero ciclo dei rifiuti – sottolinea l’amministrazione comunale di Livorno -. Da parte nostra siamo tranquilli, perché Aamps effettua controlli puntuali delle ceneri e delle scorie secondo il piano di analisi stabilito dall’AIA (autorizzazione integrata ambientale ) e a questo si aggiungono i controlli realizzati da Arpat. Non solo: fino ad ora Aamps ha conferito le ceneri leggere presso la RaRi per farle inertizzare, dopodiché questo rifiuto viene smaltito definitivamente in un impianto fuori dalla Toscana. Impianto che effettua ulteriori controlli in ingresso. Non abbiamo mai ricevuto segnalazioni o contestazioni sulla qualità di questi rifiuti. Siamo certi dunque che le indagini della magistratura accerteranno la correttezza dell’operato della nostra azienda dei rifiuti”.

Comune di Livorno

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