Tratto dal libro La storia del toro Ferdinando, scritto nel 1936 dall’americano Munro Leaf e illustrato da Robert Lawson, sorta di manifesto pacifista e antifranchista, messo al macero perfino dai nazisti, Ferdinand è una di quelle favole ‘alla Pixar” – qui producono i concorrenti Blue Sky Studios e Twentieth Century Fox Animation – dove la facciata fanciullesca e ludica per piccoli si amalgama armoniosamente con un convinto contenuto politico per i grandi
C’è un toro che al posto della corrida preferisce starsene tranquillo sotto un albero ad annusare i fiori. Si chiama Ferdinand, pesa 900 chilogrammi, è parecchio virile e piuttosto minaccioso. Eppure oltre a fare un convinto marameo a torero e banderillas, cerca pure di salvare i colleghi tori dal mattatoio. La favola animata e animalista è servita. Ferdinand, regia di Carlos Sadanha (Ice Age, Rio), in uscita in Italia il 21 dicembre 2017, è il film più gioioso e ribelle di questo Natale. Già perché la rapida, coloratissima e garbata galoppata di Ferdinand e soci nelle campagne spagnole di un imprecisato momento dell’oggi, assume il valore di uno strano e buffo messaggio antispecista che sembra ricordare la fuga (vera) descritta un paio d’anni fa nel corto Vacche Ribelli, con i bovini in fuga tra gli Appennini liguri. Le avvisaglie di questo morbo da ‘mucco pazzo’ si notano subito fin da quando Ferdinand osserva con lo sguardo il padre nell’andare fieramente a morire dentro all’abominevole Plaza de Toros di Madrid. Ce lo deve avere nel Dna quel piccolo e tosto vitellino. Lui più che scornarsi con gli altri esuberanti colleghi preferisce dare l’acqua a un fiorellino. E quando l’atmosfera nella stalla del procacciatore di tori per corride si fa pesante e tragica, Ferdinand scappa a zampe levate. Utilizzando perfino un treno merci in corsa, un po’ come i dropout di Scorsese, in America 1929: Sterminateli senza pietà.
Lontano dalle atrocità di un destino da bistecca o da “agnello” sacrificale della tradizione spagnola, il torellino viene adottato casualmente dalla piccola Nina e dal suo papà contadino che coltiva fiori. Ferdinand ha trovato il suo eden. Poi pian piano cresce, si comporta come un cucciolo di cane – e con il cane di casa continuamente battibecca – si fa sbaciucchiare dalla bimba padroncina, e finisce pure sul divano (sfondandolo) davanti alla tv. Fermo immagine: l’inquadratura in campo lungo del toro seduto sulle due zampe posteriori, sotto un albero ad annusare fiori e a guardare l’infinito. Solo che un’imprudenza lo porterà ad apparire in paese, e seppur involontariamente a distruggere una piazza con tanto di neonato in pericolo. Catturato e legato come fosse un demonio, viene riportato nella vecchia stalla del vecchio padrone, dove a due passi sorge un mattatoio che ha i tratti di un lager lugubre, tetro ed ipermoderno, con tanto di torre con ciminiera che sputa fumo. Oltre a mostrarsi al cospetto di un tronfio torero che selezionerà il toro più feroce per l’arena. Ma l’insolita alleanza con un gruppetto di porcospini, una capra “calmante”, e gli altri colleghi tori per fuggire liberi dalla morte nella corrida o dallo sgozzamento al macello, porterà ad un inatteso e liberatorio finale che invaderà Madrid.
Tratto dal libro La storia del toro Ferdinando, scritto nel 1936 dall’americano Munro Leaf e illustrato da Robert Lawson, sorta di manifesto pacifista e antifranchista, messo al macero perfino dai nazisti, Ferdinand è una di quelle favole ‘alla Pixar” – qui producono i concorrenti Blue Sky Studios e Twentieth Century Fox Animation – dove la facciata fanciullesca e ludica per piccoli si amalgama armoniosamente con un convinto contenuto politico per i grandi. Tale e tanta è la cocciutaggine felice del protagonista nel non voler diventare ciò che cultura e destino hanno già a lui assegnato, che definirlo uno spirito “rivoluzionario” è dir poco. Oltretutto Saldana&Co. oltre all’idea di fuga dal massacro inusitato della corrida presente fin dal ’36, aggiungono anche l’anelito antimacello estremamente al passo con le attuali vulgate del pensiero animalista. Non mancano ovviamente le accelerazioni comiche, l’ammucchiarsi in pochi secondi delle gag per connotare tipi, luoghi e situazioni in modo buffo (la crescita di Ferdinand, l’arrivo dei porcospini, l’assoluta e deflagrante presentazione dei vanesi cavalloni contro i puzzolenti tori, la sequenza del toro…nella cristalleria!), in modo da rendere il film un continuo e leggero diversivo di fronte all’incombente senso di morte violenta.
Poi chiaro, il tratto e la dinamicità nel disegnare gli esseri umani nell’animazione Blue Sky/20th non sembra essere il cruccio principale dei loro software. Anzi, gli uomini risultano volontariamente imbranati, goffi e un po’ imbeccillotti esseri qualunque come in un cartone Disney di sessant’anni fa. È invece nel dare vita all’espressività degli animali, nel renderli corpi e sguardi tragicomici sulle ingiustizie del mondo, che il film di Saldana viaggia cinematograficamente altissimo. Oltretutto senza mai discostarsi troppo dalle istantanee pagine disegnate del libro di Leaf. Non ci stancheremo mai di ripeterlo: quell’incredibile inquadratura del toro seduto sotto l’albero che si ripeterà anche nell’arena della corrida sul finale, particolare visivo identico a quello che si ritrova nel libro, rimarrà impresso negli occhi spettatore.
Ferdinand, in fondo, è animato dal sacro fuoco della tolleranza e del rispetto della vita altrui. “Il toro non vince mai”, prova a spiegare il protagonista ai suoi compagni di stalla che non fanno altro che scaldarsi per mostrarsi i migliori agli occhi del torero per essere poi scannati, mentre lui blocca perfino la rocambolesca fuga per salvare un coniglietto che ha avuto un infarto. La metafora dello sfruttamento senza limiti e rispetto del più debole vola alta nella storia del Novecento e del mondo contemporaneo, anche nel confronto uomo/animale. Ed è meglio lasciare che il sogno continui, anche oltre i titoli di coda. La coda di un toro salvato dalla corrida.