di Andrea Boraschi 

Baumgarten an der March è una località austriaca, snodo centrale in Europa per i flussi di gas che provengono dalla Russia. Il 12 dicembre a Baumgarten è esploso un impianto di distribuzione di metano. Decine di feriti e un morto, il triste bilancio dell’incidente.

Come immediata conseguenza dell’esplosione è stato chiuso il Trans Austria Gas Pipeline che porta il gas russo in Italia attraverso il Tarvisio. La dipendenza di gas da Mosca è aumentata nel tempo, e oggi rappresenta il 41,3 per cento del nostro import di metano. Carlo Calenda lo ha scritto fin dalle bozze della nuova Strategia energetica nazionale. “Nel caso di una sospensione totale e prolungata delle importazioni dalla Russia (ad esempio blocco o incidente rilevante dei gasdotti che attraverso Ucraina, Slovacchia ed Austria portano il gas in Italia), è molto difficile ipotizzare di poter approvvigionare circa 27/30 miliardi di metri cubi da fonti di approvvigionamento diverse, anche accettando un sensibile innalzamento dei prezzi”.

E in effetti l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, a commento della notizia dell’incidente, ha parlato subito di prezzi. Che si sono alzati realmente, e all’istante. A poche ore dall’esplosione in Austria, il ministero dello Sviluppo economico aveva già fatto scattare lo stato d’emergenza per il nostro sistema energetico. E Calenda ha rimarcato: “Se avessimo il Tap, non dovremmo dichiarare l’emergenza per questa mancanza di fornitura”. Un clima di allarme si è diffuso.

Snam ha rassicurato tutti: nessun rischio di tenuta per il sistema energetico italiano (che per il 35 percento va a gas), definito tra “i più sicuri al mondo” grazie alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento”. Il contrario di quanto affermato dal ministro. Ma questa rassicurazione non è bastata. Si sono invece imposti due argomenti: l’Italia rischia di rimanere al freddo, con i termosifoni spenti e senza elettricità; se ci fosse il Tap (come ricorda pure Descalzi) il problema sarebbe risolto.

L’allarme è durato poco. In serata i tubi del Tarvisio trasportavano nuovamente gas. Perché tanto rumore per nulla? Siamo forse di fronte a un inutile “procurato allarme”, o a una qualche forma di turbativa del mercato? O c’è altro?

Due cose saltano agli occhi. Una la dice Calenda stesso: “Dobbiamo avere più fonti di gas, che è la grande energia di transizione, visto che noi usciremo dalla produzione a carbone di energia elettrica, entro il 2025”. Quindi un punto è comunque chiarito. Il phase out del carbone, il passaggio cui ogni economia matura tende per sviluppare appieno le rinnovabili e l’efficienza energetica, in Italia è un traguardo che serve invece all’affermazione del gas.

La seconda questione è tutta per il Tap, panacea di ogni insicurezza energetica. L’obiettivo della nuova condotta è diversificare le rotte d’importazione del metano, riducendo soprattutto la dipendenza dalla Russia. Ma le riserve dell’Azerbaijan, il grande serbatoio che dovrebbe rifornire il Corridoio Sud di cui il Tap è parte, potrebbero essere molto meno abbondanti di quanto stimato (come evidenziato da un gruppo di studiosi della Oxford University, ad esempio); e per contro, in virtù di quanto stanno facendo la Turchia (con il Turkish Stream) e la Grecia (con un accordo con Gazprom), potrebbero infine riempirsi di gasrusso. Con buona pace della “diversificazione delle fonti”.

Il “sogno fossile” dell’Italia hub del gas europeo, poi, somiglia molto a una chimera: la prima a non volerlo è la Germania, che ha appena deciso il raddoppio del North Stream che la collega direttamente alla Russia. Al momento l’Italia ha già una capacità di importazione di gas doppia rispetto ai consumi, in calo da tempo e per i quali non si prevede alcuna impennata. Ai prezzi del gas attuali e prevedibili, il mega-investimento necessario per finanziare il Tap (che la Banca Europea per gli Investimenti continua a tenere in sospeso) potrebbe non essere sostenibile economicamente. L’ennesima iniziativa fossile che prima o poi finirà in bolletta?

Nel Salento, dove la realizzazione del Tap ha militarizzato un ampio territorio, si sono consumate nel mentre scene di repressione del dissenso, verso quest’opera, indegne di un Paese democratico. Forse tutto questo insensato allarme serve a giustificarle? O a dare un senso a una strategia altrimenti insensata, quella di chi ha un problema di dipendenza (energetica) e lo risolve predisponendo nuove infrastrutture per confermare questa dipendenza e continuando a tenere al palo le sole fonti – quelle rinnovabili – che potrebbero emancipare l’Italia dall’import di fossili?

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