Qualcuno, alla buvette, si è lasciato scappare la più maligna delle battute: “Ma siamo sicuri che possiamo parlare di numero legale?”. Sì, perché, quella cominciata ieri non è certamente una delle legislature più tranquille a Palazzo dei Normanni. La nuova Assemblea regionale siciliana è stata scossa dalle inchieste giudiziarie già subito dopo le elezioni del 5 novembre: all’insediamento si sono presentati sette neo consiglieri già sotto indagine. Un dettaglio che non ha frenato la scalata di Gianfranco Micciché alla poltrona più alta del parlamento siciliano seppur con il ritardo di qualche ora dopo la fumata nera di ieri e la bagarre scatenatasi in aula per il voto mostrato dal deputato Udc Giovanni Bulla all’assessore Marco Falcone.
Il luogotenente isolano di Silvio Berlusconi è stato eletto presidente dell’Ars con 39 voti grazie al fondamentale sostegno dei due deputati Nicola D’Agostino e Edmondo Tamajo di Sicilia Futura e, secondo quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, di quattro esponenti del Pd di area renziana. La maggioranza di centrodestra, infatti, poteva contare su 35 voti, ma in due hanno votato per Fava e Tancredi. La ‘stampella’ è arrivata, quindi, da alcuni degli undici deputati dem. Un vero e proprio tradimento della linea politica decisa dal gruppo Pd: “I conti si fanno in fretta, il Pd ha 11 deputati e il nostro candidato ha raccolto 7 voti: ci sono stati quattro utili idioti. Mi spiace e sono amareggiato per quello che è successo – ha detto il deputato del Pd, Antonello Cracolici – qualcuno ha voluto fare il soccorritore di un vincitore preventivo che ce l’ha fatta comunque a prescindere da questi voti che evidentemente sono stati ininfluenti ai fini dell’elezione”. “Prendiamo atto – ha concluso Cracolici – anche alla luce del voto dei deputati di Sicilia Futura che il centrosinistra non ha tenuto la barra”.
Il neo presidente ha salutato la sua elezione annunciando: “Nessuno mi chieda di tagliare gli stipendi dei dipendenti dell’Ars”. Risparmi sì e taglio degli sprechi, “ma non lo farò a scapito del funzionamento di questa Assemblea: non ha senso tagliare cento se poi quel taglio mi fa spendere duecento – ha affermato – Ma il mondo ha dichiarato da tempo l’insuccesso del marxismo: stipendi tutti uguali non ce ne possono essere, chi merita di più deve guadagnare di più”.
Micciché aveva già ricoperto l’incarico nel 2006, quando il governatore era Totò Cuffaro. Altri tempi, verrebbe da dire, se non fosse che in realtà in Sicilia tutto sembra essere tornato indietro esattamente di un decennio. L’ex ministro, infatti, incassa l’elezione a presidente dell’Ars dopo essere stato il vero uomo immagine della vittoria del centrodestra. Nello Musumeci non avrebbe mai potuto vincere le elezioni senza l’exploit di Forza Italia, diventato il secondo partito dell’isola dopo il Movimento 5 Stelle. Il 29 novembre, il neo presidente aveva nominato i suoi assessori, facendo rientrare in giunta diversi ex di Raffaele Lombardo e Totò Cuffaro.
In anticipo rispetto alle nomine erano arrivate le grane giudiziarie per la maggioranza. Cateno De Luca dell’Udc è stato il primo: gli hanno dato gli arresti domiciliari (revocati dopo 15 giorni) per evasione fiscale ma ha contribuito alla vittoria di Musumeci – e lo ha rivendicato più vote – con 5.418 preferenze. Meno clamorosa l’indagine per peculato su un ente gestito fino a luglio da Tony Rizzotto, primo consigliere regionale eletto dalla Lega in Sicilia con 4.011 voti. Diverso è il caso di Riccardo Savona, tornato all’Ars con Forza Italia grazie a 6.554 elettori ma subito accusato di truffa e appropriazione indebita dalla procura di Palermo. Poi c’è voluto un servizio delle Iene per fare aprire un’indagine dalla procura di Catania: una donna ha raccontato di avere ricevuto una offerta di 50 euro in cambio del voto per il candidato di Forza Italia, Antonio Castro, non eletto nonostante abbia portato alla coalizione 1.437 voti. Quindi è stata la volta di Genovese junior: è il quarto consigliere eletto dal centrodestra a finire sotto inchiesta a 18 giorni dalle elezioni, il quinto se si considera che nel centrosinistra Edy Tamajo si è visto recapitare un avviso di garanzia per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale.