Da cinque giorni davanti a Montecitorio chiedono di non approvare un emendamento che trasferirebbe sotto la gestione dell'Ente Nazionale degli Infortuni del Lavoro anche le problematiche di salute che riguardano il Comparto Difesa: "Non è questa la soluzione per dare il riconoscimento che tanti militari malati si attendono. Serve una legge giusta, equa e chiara"
“In silenzioso sciopero della fame per essere ascoltati“. Con un semplice cartello appeso al collo e con la determinazione di far valere i propri diritti, alcuni rappresentanti di associazioni di militari si sono presentati davanti a Montecitorio cominciando una protesta simbolica. Da cinque giorni chiedono al Parlamento di non approvare un emendamento che trasferirebbe sotto la gestione dell’Ente Nazionale degli Infortuni del Lavoro anche le problematiche di salute che riguardano il Comparto Difesa. Si tratta di malattie causate dall’amianto, che ha colpito centinaia di marinai sulle navi della Marina Militare italiana, aviatori, soldati, carabinieri. Ma anche degli effetti del contatto con l’uranio impoverito soprattutto da parte dei militari impegnati in missioni all’estero. E ci sono pure le malattie provocate dal gas radon, come ha dimostrato una recente sentenza di condanna del Tribunale di Padova per le emissioni letali nella base sotterranea dell’Aeronautica sul Monte Venda, che è stato il centro di controllo radar e dell’aviazione militare durante la Guerra Fredda.
Il presidio silenzioso delle associazioni dei familiari dei militari e civili del comparto Difesa e della sicurezza nazionale, degli esposti e vittime dell’amianto e di altri fattori nocivi ha portato in piazza i presidenti di Afea nazionale, Pietro Serarcangeli, e di Afeva Sardegna, Salvatore Garau, che ha iniziato lo sciopero della fame. “E stato presentato un emendamento per far passare sotto la gestione dell’Inail tutto il comparto Difesa e sicurezza nazionale. Non è questa la soluzione per dare il riconoscimento che tanti militari malati si attendono. Serve una legge giusta, equa e chiara, un intervento complessivo che affermi i diritti ora negati ai militari, senza l’erosione di quelli già riconosciuti”.
Di che cosa si tratta? Gian Piero Scanu, presidente della Commissione d’inchiesta sull’esposizione all’amianto, all’uranio impoverito e al gas radon dei militari, ha presentato un emendamento alla Legge di Bilancio 2018. Si tratta in realtà del progetto di legge che ha come primo firmatario proprio Scanu e che detta “Disposizioni concernenti la tutela assicurativa per infortuni e malattie del personale del comparto sicurezza e difesa”. L’obiettivo è quello di modificare le norme per l’infortunio sul lavoro delle forze armate e forze dell’ordine.
Di fronte alle malattie “professionali”, l’accertamento della sussistenza del nesso di causalità tra l’attività lavorativa e l’infortunio sul lavoro passerebbe dalla medicina medico-legale militare all’Inail. Una rivoluzione che nei militari ha fatto sorgere il sospetto che si vogliano così cancellare pensioni privilegiate e cause di servizio, patrimonio della specificità del comparto sicurezza e difesa. In passato l’onorevole Scanu aveva replicato che l’emendamento presentato dalla Commissione Uranio “migliora i livelli di salute e sicurezza dei militari italiani, oggi meno tutelati rispetto agli altri lavoratori italiani” e non comporterebbe la perdita dei benefici.
La replica è amareggiata. “Vogliamo essere trattati come fedeli servitori dello Stato, non come servi”, è la replica di Garau. Un esempio? La posizione dell’Inail in materia di mesoteliomi e malattie causate dall’amianto (di cui le navi continuano ad essere imbottite) è piuttosto restrittiva, come dimostrano i contenziosi con le associazioni e con i singoli marinai negli ultimi anni. Inoltre la specificità del lavoro in Marina non sempre è colto dai tecnici dell’Inail. Non a caso fu la stessa Inail a giustificare i ritardi nell’esame delle pratiche dei marinai, con la seguente giustificazione ufficiale: “La procedura si presenta subito alquanto complessa e difficoltosa, poiché questo Istituto non possiede alcuna informazione specifica sui mestieri e sulle attività svolte nei siti militari e nelle unità della marina militare, diversamente dagli stabilimenti dell’industria privata, che sono stati sino a oggi oggetto di simili indagini”.