Scuola

Ciao maestra Teresa

La maestra o il maestro della scuola elementare se la ricordano tutti. La mia, la maestra Teresa, se n’è andata pochi giorni fa. La sua lezione di vita è terminata. Qualche tempo fa prima di Natale la andai a trovare all’ospizio. Entrato nella sala da pranzo avevo fatto fatica a riconoscerla: a quell’età coi capelli canuti, i volti smunti, si somigliano i vecchi.

La cercavo tra i tavoli della mensa provando a riconoscere i suoi occhi. Fu lei a chiamarmi: “Alex, Alex”. Erano passati anni, già aveva perso parte della sua lucidità mentale, ma il volto di quell’alunno un po’ “birichino” e “con la lingua un po’ lunga” come aveva scritto nella pagella, non lo aveva scordato.
La maestra Teresa è la maestra di ciascuno di noi.

Quella che vorremmo non se ne andasse mai. E’ la figura dell’insegnante che dobbiamo tenerci stretta, non dimenticare. Nella storia dell’istruzione italiana citiamo spesso Maria Montessori, Mario Lodi, Alberto Manzi, don Lorenzo Milani, Loris Malaguzzi ma accanto a questi volti c’era un esercito di maestre e maestri che sapevano “incarnare” nelle loro aule l’insegnamento di questi grandi uomini e donne.

Non era certo un caso se ogni sabato la maestra Teresa dedicava la giornata alla lettura di “Cipì”, il meraviglioso libro scritto da Mario Lodi. Era un appuntamento fisso: ci insegnava a osservare fuori dalla finestra proprio come avevano fatto i bambini di Vho di Piadena. E se oggi mi fermo davanti alla vetrina di un artigiano a Venezia per ammirare le sue mani al lavoro su una maschera, è perché la maestra Teresa mi aveva insegnato a farlo.

Se oggi sul mio biglietto da visita ho scritto “maestro, giornalista, viaggiatore” è perché lei mi insegnò a viaggiare. Forse aveva letto Alberto Manzi, forse era solo curiosa ma per cinque anni ci aveva parlato del Mozambico. Che ne sapevo io di quel Paese in fondo all’Africa? In casa non avevo mai avuto un atlante, nemmeno una libreria. Lei ce ne parlava raccontandoci del nipote missionario. A sette-otto anni ascoltavo appassionato.

Non lo sapevo, ma stava insegnandomi la meraviglia, la curiosità che non mi hanno più abbandonato. E a 18 anni indovinate quale fu il mio primo viaggio? In Mozambico a incontrare il nipote missionario della maestra. Non credo nemmeno che sia un caso se oggi, pur considerandomi ateo, continuo a pormi interrogativi, sento ancora la necessità di raccogliermi in silenzio in un monastero. Ogni giorno prima della lezione la maestra ci faceva recitare una preghiera. Lei non poteva saperlo ma quel “momento” mi pro-vocava, mi interrogava già fin da piccolo.

Qualche anno fa per l’uscita del mio libro “La scuola che resiste” andai a casa della maestra. “Vorrei rivederla per fare una riflessione sulla scuola”. Accettò subito.
Ho trovato una maestra diversa da quella che mi aspettavo. Ricordava ad uno ad uno i suoi alunni ma aveva cercato di dimenticare le storture della scuola. Le aveva archiviate. Le feci alcune domande. Qual era l’insegnamento più profondo che voleva dare?

Avrei voluto che diventassero degli uomini veri. Guardandoli immaginavo questo. Tu eri un discolo, ma mi eri simpatico. Si ricorda di noi piccoli. Mi ricordo ancora anche quelli che non abitano più in paese. I miei bambini li ricordo con affetto. E se loro ricambiano sono felice. Ha in mente qualche episodio. Forse allora i bambini erano più bambini. Una volta era più semplice fare scuola: non c’era da compilare. La scuola senza burocrazia funzionava meglio. Oggi è cambiata.

I bambini non hanno più una figura a cui riferirsi. La maestra era la maestra. Anche le mie colleghe ancora in servizio non sembrano soddisfatte. Mi parlano di dirigenti che valgono poco, di bambini poco impegnati. Si lamentano sia alle elementari che alle medie. Spesso si demoralizzano. Ho una collega che non esce di casa perché ci sono mamme che hanno da aggredirla. Io ero alla mano con le mamme. Non “sono stata una scienza” ma ho cercato di dare qualcosa.

La maestra Teresa ricordava ancora quando fu costretta a bocciare: “Sono stata contenta di aver fatto la maestra. Quando rivedo i miei ragazzi sono felice. Penso che la maggior parte dei miei allievi abbia un buon ricordo di me. L’altro giorno alla sfilata dei carri mascherati sono uscita di casa a fatica, ho incontrato un mio ex scolaro, oggi geometra: mi ha fatto una gran festa, mi ha presentato la sua fidanzata. Quando li vedo sono orgogliosa. Penso di aver lasciato qualcosa di buono in loro. Ho dovuto bocciare qualcuno. Alle volte ci penso. Ho bocciato uno che forse era solo timido, ma non svogliato, e ho sbagliato. Oggi sono pentita. Sono stata severa? Non credo. Lo chiedo a te?”.

Oggi, cara maestra Teresa, posso solo dire che io resterò per sempre il suo alunno e lei resterà per sempre la mia maestra. Così come vorrei essere per sempre il maestro dei miei alunni.