“Noi abbiamo massacrato il prestigio delle cosche. E lo abbiamo fatto con fatti veri, con fatti concreti”. Così, il giorno dopo lo scioglimento del Comune di Lamezia Terme, urlava il sindaco Paolo Mascaro. La relazione con cui il ministro dell’Interno Marco Minniti ha chiesto che il Comune calabrese fosse commissariato, però, racconta una storia diversa. L’operazione “Crisalide”, che ha portato all’arresto di 52 appartenenti alla ‘ndrangheta, e la perquisizione nei confronti di un consigliere sottoposto ai domiciliari hanno di certo spinto la prefettura di Catanzaro a inviare i commissari al Comune per verificare l’eventuale infiltrazione delle cosche nell’amministrazione. Ma c’è molto di più nel decreto del presidente della Repubblica dove si legge che “fonti tecniche di prova hanno attestato come la campagna elettorale per il rinnovo degli organi elettivi sia stata caratterizzata da un’illecita acquisizione dei voti che ha riguardato, direttamente, o indirettamente, esponenti della maggioranza e della minoranza consiliare”.
Per la commissione d’accesso, infatti, ci sono state “cointeressenze, frequentazioni, rapporti a vario titolo tra numerosi esponenti sia dell’organo esecutivo che di quello consiliare con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata“. Dopo gli scioglimenti del 1991 e del 2002, stando alla relazione del prefetto, sarebbe emersa “la persistenza delle medesime dinamiche collusive e dell’operatività degli stessi personaggi di spicco delle organizzazioni criminali dominanti in quel territorio. È stata rilevata una sostanziale continuità amministrativa, atteso che molti degli attuali amministratori hanno fatto parte, a diverso titolo, della compagine eletta nel 2010”.
A proposito il prefetto evidenzia che “successivamente alla loro elezione e fino ai primi mesi del 2016 il sindaco e il vicesindaco, entrambi avvocati, hanno assunto, contemporaneamente, la veste di difensori di fiducia di esponenti di massima rilevanza delle cosche lametine e quella di organi di vertice dell’amministrazione comunale. Solo nei mesi di marzo e maggio 2016, a seguito della costituzione di parte civile del Comune nei processi (per mafia, ndr), il primo cittadino ed il vicesindaco hanno rinunciato all’incarico di difensori dei menzionati esponenti della criminalità organizzata e il mandato conferito al sindaco è stato assunto da altro professionista in stretti rapporti di affinità con il primo cittadino”.
Alcune indagini toccano direttamente i candidati eletto in Consiglio: “Un consigliere comunale ed il coniuge di questi sono indagati per numerosi gravi reati, tra cui quello di bancarotta fraudolenta, per quest’ultimo unitamente ad un libero professionista che è in stretti rapporti di affinità con una dipendente comunale”. In sostanza, è emerso “un diffuso quadro di illegalità, in diversi settori dell’ente locale che, unitamente ad un generale disordine amministrativo, si sono rivelati funzionali al mantenimento di assetti predeterminati con soggetti organici o contigui alle organizzazioni criminali egemoni ed al consequenziale sviamento dell’attività di gestione dai principi di legalità e buon andamento”.
Dal condizionamento della ‘ndrangheta, non si salvano neanche i procedimenti di affidamento di beni confiscati. “L’amministrazione comunale – è scritto nella relazione – ha infatti concesso, per 15 anni e gratuitamente, un immobile ad una cooperativa, pressoché inattiva da tempo perché sottoposta ad indagini per indebite percezioni di erogazioni pubbliche”. Chi guida questa cooperativa manca, secondo i commissari, “dei requisiti minimi morali: in particolare due dei soci sono gravati da pregiudizi di natura penale ed uno di essi è riconducibile ad esponenti della criminalità organizzata”.
Come se non bastasse, “nella procedura di assegnazione del bene non emerge lo scopo sociale perseguito dalla cooperativa né le finalità di utilizzo dell’immobile”. Cooperativa che, tra l’altro, è stata l’unica a partecipare alla procedura e, quindi, “poi ha ricevuto il bene in concessione” pur non garantendo, “dai controlli effettuati, alcuna affidabilità gestionale atteso che, sono risalenti nel tempo, gli ultimi bilanci di esercizio e le altre dichiarazioni contabili”. Per quanto riguarda l’esame delle determine comunali, secondo il prefetto e il ministero dell’Interno, è emersa “l’esistenza di un vero e proprio ‘sistema’ che, da un lato consente di aggiudicare gli appalti sempre alle medesime ditte e, dall’altro, attraverso il meccanismo delle proroghe ripetute permette alle ditte un sostanziale recupero del ribasso offerto in sede di gara. Tale consolidato modus operandi ha permesso di eludere le disposizioni in materia di informazioni antimafia“.
Nonostante la procedura di evidenza pubblica, anche nell’appalto per i lavori di manutenzione delle strade ci sono problemi. Il comune ha affidato l’incarico, per 270mila euro, a una ditta che poi riceve, “senza alcuna gara”, un altro incarico per nuovi lavori “per un importo di oltre 40mila euro”. Singolare che “il titolare dell’impresa aggiudicataria – è scritto – è persona gravata da numerose segnalazioni all’autorità giudiziaria per diverse fattispecie di reato ed ha rapporti di frequentazione con soggetti riconducibili alla locale criminalità organizzata”.
Per il ministero dell’Interno e per la prefettura, quindi, a Lamezia Terme c’è stato “lo svilimento e la perdita di credibilità dell’istituzione locale”. E su questo si sofferma l’ex sindaco Giannetto Speranza dopo aver letto la relazione dei commissari: “Il mio è uno stato d’animo dispiaciuto. Ho impiegato dieci anni della mia vita perché speravo che si potesse uscire da questa logica incredibile – dice a ilfattoquotidiano.it – Invece viene fuori, da questa relazione, che l’acquisizione del consenso è peggiore di quella degli altri scioglimenti. Se le premesse sono così devastanti, è chiaro che al di là di ogni questione singola, viene fuori un clima che nell’insieme dei fatti è allarmante. Non solo la politica ma anche la società deve fare i conti con l’ambiente in cui viviamo”.