Secondo la procura di Brindisi, un imprenditore pagava per ottenere informazioni sulle offerte dei concorrenti o la certificazione di fine lavori: rischia il processo assieme ai manager della centrale pugliese, cinque dei quali furono arrestati a maggio. L'azienda elettrica, estranea all'inchiesta, presentò una denuncia alla procura
Un dipendente aveva ricevuto una Peugeot 308 da 13mila euro per appena 750. E se l’era anche fatta riparare. Un altro manager aveva voluto i mobili nuovi per la sua casa: 12mila euro di arredi. Tanto che c’era aveva preteso che gli venissero pagati alcuni lavori di falegnameria e il rivestimento del piazzale dell’abitazione con le basole. Un terzo collega aveva chiesto una macchina fotografica della Canon e “relativi accessori”, oltre a una telecamera Panasonic. Un altro ancora aveva preferito un iPhone. In due ne avrebbero approfittato per farsi riparare addirittura le pompe dei pozzi artesiani delle proprie abitazioni. E poi soldi, tanti soldi anche in vista del proprio matrimonio: assegni, contanti, carte ricaricabili. Centinaia di migliaia di euro, secondo quanto ricostruito dalla procura di Brindisi.
“Plasmavano la propria attività (…) in vista di un ritorno in termini di denaro o altra utilità”, sintetizzano i pm Milto Stefano De Nozza e Francesco Carluccio nell’avviso di conclusione indagini su un giro di presunte tangenti pagate da un imprenditore a 7 dipendenti e dirigenti della centrale Enel Federico II di Cerano, in cambio di favori, nell’ambito del sistema degli appalti. Otto le persone a rischio processo, cinque delle quali finirono agli arresti nello scorso mese di maggio. L’azienda, invece, è estranea alle contestazioni.
Stando a quanto ricostruito dai magistrati, a pagare era l’imprenditore leccese Luigi Giuseppe Palma, che fu il primo a fornire le prime segnalazioni, alle quali ha fatto seguito una dettagliata denuncia in procura presentata proprio dall’Enel. A ricevere erano invece Domenico Iaboni, già licenziato dall’azienda elettrica, Carlo De Punzio, Fabiano Attanasio, Vito Gloria, Nicola Tamburrano, tutti all’epoca dei fatti in servizio a Brindisi, e poi i dirigenti di “livello superiore” Fabio De Filippo e Fausto Bassi, rispettivamente responsabile delle manutenzioni dell’impianto e capo dell’unità di Business.
L’accusa per tutti è di corruzione continuata “per atti contrari ai doveri di ufficio”. In cambio di quei regali, i dipendenti della società elettrica avrebbero certificato l’avvenuta esecuzione di lavori o autorizzato l’emissione di certificazioni risultate non veritiere. In alcuni casi, De Punzio avrebbe anche fornito “informazioni riservate e coperte dal segreto d’ufficio” relative alle “offerte economiche presentate dalle imprese concorrenti” in modo tale da “agevolare” l’imprenditore “nell’aggiudicazione dell’appalto”. Quando a maggio scattarono gli arresti, l’allora procuratore capo di Brindisi, Marco Dinapoli, disse di aver “avuto la sensazione che si trattasse di un sistema” perché l’imprenditore non aveva “preso l’iniziativa di pagare le tangenti” ma era stato “avvicinato”.