“Cambiare nome e funzioni della commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana”, come esordio per il secondo mandato da presidente del parlamento regionale Gianfranco Micciché non poteva essere più chiaro e diretto.

Intendiamoci, la commissione parlamentare Antimafia in Sicilia viene istituita con una norma del 1991 altro mondo, altra mafia e – forse – anche altra Sicilia. E rivedere ruoli e funzioni della commissione sarebbe un atto con una logica e anche utile, ma l’impressione è che il presidente dell’Ars volesse, più che altro, evocare una normalizzazione. La mafia spara poco. Sempre più si fa istituzione e non si respira nell’aria come negli anni terribili delle stragi. Scompare, quasi, dall’agenda politica. Come confermano le recentissime elezioni regionali. Un silenzio che è servito e serve per chiudere affari nella massima discrezione.

In questo quadro, normalizzare è la cosa più pericolosa, il messaggio più sbagliato. Arriverà il momento in cui la commissione Antimafia potrà essere derubricata a ricordo, ma quel momento non è ora. Le inchieste e le operazioni di polizia che infliggono colpi pesanti ai clan evidenziano come le cosche non siano affatto in disarmo. Anzi i legami con la politica restano forti e saldi sullo sfondo dei denari e dei reciproci favori. Tutte questioni che costituiscono le motivazioni per un lavoro parlamentare necessario.

Per troppo tempo la politica ha delegato a magistratura e forze dell’ordine anche i propri compiti. Che, ovviamente, non sono quelli di sostituirsi a chi deve svolgere le indagini. Ci si è affidati alle sentenze e alcune volte dietro queste sentenze ci si è riparati per non dover affrontare i temi profondi dei rapporti conclamati tra politica, economia e mafia, interessi e commistioni che sarebbe compito della politica indagare, anche con lo strumento della commissione di inchiesta.

Dal grande affare dei rifiuti al comparto dell’energia passando per le infrastrutture, gli appalti e l’agricoltura. In tutti questi settori, mafia, politica ed economia hanno costruito – nel silenzio delle pistole – imperi economici e sottoscritto patti scellerati. Il tutto a scapito dei siciliani e delle siciliane, depredando di risorse una regione socialmente e economicamente in agonia. Su questo la commissione dovrebbe ragionare e avviare un lavoro per predisporre anche strumenti normativi e politici per rompere il perverso meccanismo. Dovrebbe essere proprio questo il compito di una commissione che appare più necessaria che mai.

Non è dunque tempo di cancellare nome e funzioni della commissione. Anzi, è proprio questo il momento di dare un senso all’azione della stessa. Con strumenti adeguati e un aggiornamento della normativa istitutiva. Le parole del presidente Miccichè, paradossalmente, potrebbero avere il merito di aprire una riflessione collettiva.

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