Il triste evento si è ormai consumato. Anche quest’anno migliaia di neolaureati con alcuni (talvolta molti) anni di pratica nelle professioni legali alle spalle hanno sostenuto l’esame di Stato di avvocato. Nella sede di Napoli, oltre al solito gelo, c’è stata una mancanza di tavoli e sedie (dai 500 agli 800 a seconda delle fonti giornalistiche). L’esame è iniziato verso le 12 ed è terminato in serata (dura 7 ore al giorno). Siccome molti, nella vana speranza di assicurarsi un posto “buono”, erano già in attesa alle quattro del mattino, immagino la lucidità mentale con cui hanno potuto scrivere il loro compito.
Per non farsi mancare nulla, a Napoli, una candidata ha anche partorito nel corso del terzo giorno, forse a causa dello stress. Qualcuno ha proposto il nome di Caietto per il neonato.
Il post che ho scritto in vista dell’inizio dell’esame ha ricevuto oltre tremila condivisioni e decine di commenti che, per lo più, concordava sul giudizio di assoluta inidoneità allo scopo del sistema d’esame, che pure tutti riconoscono come importante. Condivido la necessità che ci sia un controllo sull’accesso a questa come ad altre professioni libere. Parto dalla denuncia di un problema per proporre sempre una soluzione alternativa di buon senso, sulla quale sono aperto alla discussione.
Soprattutto nella professione di avvocato, ma in qualunque professione, vi è un irresolubile problema di asimmetria informativa fra il professionista e il cliente. Il cliente non conosce abbastanza la materia e deve avere fiducia nel professionista senza essere in grado di valutare se quest’ultimo è capace come dice l’insegna fuori dal suo studio. Purtroppo è inutile nasconderlo: di caproni nelle professioni libere ce ne sono davvero tanti. A volte si scopre troppo tardi di avere a che fare con un professionista inadeguato o scorretto dal punto di vista deontologico.
Talvolta, i millantatori sono nascosti dalle belle parole e dai modi accattivanti, almeno agli occhi delle persone comuni. Spesso, il cliente tende a credere più a chi cerca di carpire la sua benevolenza rendendo facili soluzioni impossibili, piuttosto che il professionista che gli chiarisce le difficoltà del problema che ha di fronte. Insomma, la soluzione liberale per la quale è il mercato che alla fine della giornata decide chi è nella professione e chi no, è giusta e condivisibile, ma, indubbiamente, lascia tanti clienti feriti sul tappeto. Per questo, quasi in tutto il mondo, si cerca uno strumento di verifica della presenza di uno standard minimo di accesso.
Il punto, però, è che l’esame in Italia è stato concepito quando erano in pochi a sostenerlo. Con l’avvento ormai da decenni dell’università di massa, lo strumento non sembra più adeguato allo scopo. E, infatti, fra i clienti, aumentano sempre di più gli insoddisfatti, nonostante l’esame di Stato. Ripeto, il punto non è che l’esame esista, ma che questo esame, così come è congegnato, non è adeguato. Non è un demerito non averlo superato, così come non è un merito averlo superato, a meno che non ci si voglia vantare della propria “fortuna”.
Ecco allora che ritorna l’idea della soluzione alternativa. Alcuni dicono: chiudiamo per dieci anni la facoltà di Giurisprudenza. Sarebbe un grave errore. Sia nel settore pubblico che privato occorrono laureati con formazione giuridica. Perciò la proposta è ritornare al 3+2: il triennio generalista dovrebbe essere per tutti coloro che vogliono lavorare come dipendenti e perciò non deve avere alcun limite d’accesso. Però, quel percorso triennale può fungere agevolmente come strumento di accesso e selezione alla professione. La prima selezione può essere fatta in base al voto medio e finale della triennale.
Poi, volendo, ma non è neppure necessario, si può stabilire il numero chiuso per l’accesso alla specialistica. A quel punto, il numero di chi accede alla professione diventa gestibile e l’attuale esame di Stato tornerebbe serio come forse lo è stato prima dell’avvento dell’università di massa.
In alternativa, sono favorevole al superamento dell’idea di esame senza percorso formativo. Si potrebbe, invece, immaginare una sorta di apprendistato obbligatorio per chi vuole accedere alla professione libera. Qualche commento si chiede: A che serve, visto che chi fa l’esame di Stato ha già tanta formazione alle spalle? Formazione solo teorica, non professionale e on-the-job. Ho parlato di un contratto per l’accesso alla professione in un post precedente del blog.
Un contratto del genere, con formazione anche universitaria, magari, collegata al tirocinio nello studio professionale, garantirebbe anche un reddito ai poveri praticanti. Ma la competizione sarebbe meno aspra di quella attuale e con numeri ridotti.