Dopo l’estate sembrava che la Libia dovesse diventare il primo attore dei salvataggi nel Mediterraneo. Era uno dei risultati auspicati dal ministro dell’Interno Marco Minniti dopo la campagna per l’adozione del codice delle ong. Il ministro nella sua informativa al Parlamento del 5 luglio parlava di istituire un Maretime rescue cooperation center (Mrcc) – una sorta di centrale di coordinamento dei salvataggi in mare – anche a Tripoli. Il 10 luglio, su spinta italiana, la Libia aveva istituito la sua Srr, Search and rescue region, uno specchio d’acqua oltre i limiti nazionali dove ha il dovere di coordinare i soccorsi in mare. Cinque mesi dopo, ha fatto un passo indietro e ha ritirato la domanda.
“Di fatto, con i libici non c’è un vero coordinamento, c’è molta confusione, sono accaduti molti incidenti. Per noi la fine della Srr libica è una buona notizia”, commenta Ruben Neugebauer, portavoce della ong tedesca Sea Watch. “È una doppia fregatura. Prima abbiamo formati i libici su nave San Giusto e nave San Giorgio e abbiamo dato loro i mezzi. Ora saremo comunque costretti a coordinare da soli i salvataggi all’Imrcc di Roma. I salvataggi che dobbiamo fare aumenteranno”, aggiunge Francesco Del Freo, avvocato esperto di diritto penale transnazionale e già difensore dell’ammiraglio Filippo Foffi nel processo sulla “strage dei bambini” dell’11 ottobre. Processo nel quale l’oggetto del contendere è proprio la definizione e l’estensione delle zone di Search and Rescue.
La Libia a luglio aveva mandato all’International Maretime Organisation (Imo), l’organizzazione legata ad una convenzione Onu che promuove tecniche e principi di navigazione a livello internazionale, una notifica con cui comunicava l’estensione della sua Srr. Dal mese successivo, a Tripoli è ormeggiata nave Tremiti, imbarcazione della Marina Militare, in cui si trova il coordinamento libico (con aiuto italiano) delle operazioni di salvataggio. Una base operativa che è l’embrione del futuro Mrcc libico, il segno tangibile dello sforzo italiano per fare in modo che ora la gestione dei flussi migratori sia affare di Tripoli. E che ora perde la sua area di competenza.
L’ufficio stampa dell’Imo, sentito da IlFattoQuotidiano.it, aggiunge che “una nuova notifica arriverà presto dalla Libia”. Un “presto” che però non è quantificabile, né certo, né tantomeno durevole, visto il precedente. Non solo: l’Imo spiega anche “c’erano questioni tecniche per le quali l’Imo stava cercando nuove verifiche”, ma non è possibile sapere quali. Tra le ipotesi più accreditate, c’è che la Sar zone presentata dalla Libia fosse troppo vasta per l’effettiva capacità della locale Guardia costiera. La stessa che è accusata dall’ultimo rapporto di Amnesty International di farsi pagare dai trafficanti di uomini per lasciare passare i loro i barconi e che assale i pescherecci siciliani in acque internazionali, impunita. All’Italia questa scelta di cooperare con i libici a tutti i costi è già costata un richiamo del Commissario Onu sui diritti umani, Zeid Raad al-Hussein.
“L’ingresso nell’Imo non può di per sé garantire che poi ci sia una catena di coordinamento Sar – aggiunge l’avvocato Del Freo – in Libia continua a non essere uno Stato”. Non basta esporre la bandiera dell’organizzazione Onu per diventare un interlocutore affidabile sulle politiche del mare. Per altro le Sar nascono per rendere più efficienti i salvataggi in mare e non per regolare le politiche migratorie, come accade oggi. Più si interviene, più è facile che poi spetti al Paese che ha coordinato le operazioni la gestione degli sbarchi.
“Era chiaro che i libici non erano in grado di gestire i salvataggi. Anche i mezzi che hanno sono militari, inadatti ad operazioni di questo genere”, continua Neugebauer. Il portavoce di Sea Watch sottolinea che finora la Guardia costiera e la Marina libiche “hanno fatto ciò che hanno voluto”. Ad esempio, “hanno tentato di abbordare la nave di Proactiva Open Arms (in agosto, ndr)”, oppure “hanno minacciato navi civili che si trovavano in acque internazionali, intimando loro di lasciare la Sar zone”. Il timore della ong tedesca è che, nonostante sia stata archiviata la finzione di una Sar zone coordinata dai libici, a Tripoli continuino a fare la voce grossa in mare.
“Da più di un anno ormai si parla di un Mrcc in Libia – prosegue il portavoce di Sea Watch – e credo ci proveranno a istituirlo. Vediamo come si comporteranno con il principio di non-respingimento previsto dalla Convenzione di Ginevra (secondo cui una persona non può essere respinta in un Paese non sicuro, ndr). Abbiamo già diverse prove di navi italiane che non intervengono per impedire che dei migranti vengano riportati in Libia”. Uno dei motivi per cui gli accordi con la Libia sono tenuti sotto tiro dalle organizzazioni internazionali.