Almeno cinque deputati eletti con i democratici hanno per ora rifiutato di aderire al gruppo in Regione dopo che i franchi tiratori interni hanno contribuito all'elezione a presidente del deputato di Forza Italia. Non si tratta di nomi di secondo piano mentre sulla questione isola si registra il silenzio dei vertici del Nazareno
Non hanno un capogruppo e neanche idea di chi possa essere a farlo. Non hanno un linea politica condivisa con Roma o forse ne hanno più di una. Non hanno neanche un gruppo parlamentare, o meglio, lo avrebbero ma al momento nascerebbe monco. È una situazione caotica quella in cui si trova in questo momento il Partito democratico in Sicilia. Una condizione annunciata già nelle ore successive alla sconfitta delle elezioni regionali del 5 novembre scorso, ma deflagrata nelle ultime ore. Ad accendere la miccia la decisione di quattro deputati che sabato hanno votato Gianfranco Micciché come nuovo presidente dell’Assemblea regionale siciliana. Un vero e proprio tradimento visto che il partito aveva deciso di presentare un candidato di bandiera su cui concentrare le undici preferenze del gruppo: e invece i voti raccolti dai dem sono stati solo 7.
Nel giorno dell’elezione dei vicepresidenti, dunque, ecco che alcuni deputati hanno deciso di “congelare” la propria partecipazione al gruppo parlamentare del Pd dell’Assemblea regionale siciliana. Non si tratta di nomi di secondo piano: secondo l’agenzia Ansa tra i consiglieri che non hanno ancora formalizzato la propria adesione al gruppo, infatti, ci sarebbe anche Antonello Cracolici, storico leader dei dem a Palermo ed ex assessore all’Agricoltura di Rosario Crocetta. “I conti si fanno in fretta, il Pd ha 11 deputati e il nostro candidato ha raccolto 7 voti: ci sono stati quattro utili idioti. Mi spiace e sono amareggiato per quello che è successo qualcuno ha voluto fare il soccorritore di un vincitore preventivo”, erano state le parole di Cracolici, pochi minuti dopo l’elezione di Micciché. Quello lanciato dall’ex assessore, dunque, è un segnale forte che arriva nello stesso giorno in cui i Giovani democratici sottoscrivono un documento di fuoco contro i vertici del partito. “Il gesto di votare il commissario di Forza Italia nonché uomo di punta del centrodestra è un atto vergognoso e privo di rispetto verso gli elettori e la storia del Pd. Votare chi ha raggiunto il consenso attraverso imputati, indagati e condannati o voltagabbana riciclati della politica che cambiano schieramento in base alla propria convenienza. A questi, se ne sono aggiunti, da ieri, altri quattro”, è uno dei passaggi della nota dei giovani dem.
Quella andata in scena a Palazzo dei Normanni due giorni fa, infatti, ricorda – fatte le dovute proporzioni – la congiura dei 101 ai tempi dell’elezione di Romano Prodi al Quirinale nel 2013. Micciché aveva rifiutato un accordo istituzionale con il Pd e il Movimento 5 Stelle: l’elezione a presidente dell’Ars in cambio delle due vicepresidenze alle due forze d’opposizione. Il luogotentente di Silvio Berlusconi ha chiarito già dal suo primo discorso che intende interpretare il ruolo di presidente da esponente del centrodestra e non certo da garante dell’intero Parlamento. Per questo motivo ha rifiutato accordi istituzionali con il Pd, preferendo forse stringere patti di diversa natura. Il segretario del Pd, Fausto Raciti – che all’epoca dei 101 era appena entrato alla Camera – aveva consigliato ai suoi di votare per se stessi: un vecchio metodo per scompaginare eventuali inciuci. A spingere per un candidato di bandiera è stato invece Luca Sammartino, ex dell’Udc, rieletto all’Ars con il record di preferenze (più di 32mila) e ormai diventato il volto del renzismo sull’isola. L’uomo che doveva raccogliere tutti gli undici voti dei dem doveva essere Nello Dipasquale, ex sindaco di Ragusa con Forza Italia, noto perché fino a poco tempo fa assicurava durante i comizi: “Il Pd mi fa schifo”. Il suo karma deve avere recepito: a Dipasquale sono arrivati solo 7 voti, mentre Micciché è stato eletto con 39.
“Né Miccichè mi ha chiamato per offrirmi la vice presidenza, né il segretario del mio partito Fausto Raciti o altri compagni mi hanno telefonato per esprimermi il rammarico per il torto che ho subito da un pezzo del Pd che non mi ha votato, avendoci messo io la faccia”, si lamenta l’ex forzista che per più di una fonte sarebbe tra i quattro elettori di Micciché: in pratica persino lui non avrebbe votato per se stesso.” Mi spiace di avere messo la faccia in questa situazione, certamente non sono io il traditore”, assicura lui. “Consiglierei a Dipasquale di evitare di fomentare ulteriormente il clima di tensione che c’è dentro al Pd. Nessuno di noi ha mai detto che il Pd fa schifo”, lo attacca Antonio Rubito, responsabile dell’organizzazione del partito in Sicilia.
Nel frattempo prendono corpo gli identikit degli altri “traditori”: ad eleggere il leader di Forza Italia sulla poltrona più alta di Palazzo d’Orleans sarebbe stato lo stesso Sammartino e in Michele Catanzaro, anche lui ex Udc, un passato da golden boy di Totò Cuffaro. Insomma a votare per la destra sarebbero quelli che proprio dalla destra provengono: a questo giro il Pd ne ha eletti diversi in consiglio regionale. Merito del sottosegretario Davide Faraone, viceré renziano sull’isola che negli ultimi anni ha aperto il partito a una serie di ex seguaci di Cuffaro, Lombardo e Berlusconi. Ad alzare la temperatura è lo stesso Sammartino che non smentisce di avere votato Micciché ma attacca il suo stesso partito. “Il Pd all’Ars è un gruppo parlamentare allo sbando, questa è la verità. Nessuno si cura di convocare una riunione di gruppo. Una situazione assurda. Non c’è nessuno che detta la linea da seguire, così come non c’era prima, non c’è adesso. Non è cambiato nulla”, dice l’ex Udc, secondo il quale ci sarebbe davvero un accordo segreto siglato da eesponenti del suo partito ma con il M5s. “Oggi avremo la conferma con l’elezione di Giancarlo Cancelleri alla vicepresidenza dell’Ars. Vedrete…”.
In questa situazione, dunque, comincia a suonare come inquietante il silenzio del Nazareno. Secondo l’edizione palermitana di Repubblica, a benedire il voto per Micciché sarebbe stato addirittura il ministro Luca Lotti con una telefonata con il leader di Forza Italia. Lotti è il referente nazionale dell’ex ministro Salvatore Cardinale, creatore di un movimento fondato a suo tempo per arruolare una serie di consiglieri eletti con la destra e garantire una maggioranza a Rosario Crocetta. Alle elezioni del 5 novembre ha eletto due deputati, Nicola D’Agostino ed Edy Tamajo: entrambi hanno votato per Micciché.