I giudici non hanno accolto l'eccezione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Milano per il caso del disconoscimento di maternità di una donna che ha fatto ricorso alla ovodonazione all'estero, ma hanno sottolineato la necessità di valutare caso per caso
Dovranno scegliere tra la verità e l’interesse di un bambino i giudici della corte d’Appello Civile di Milano che avevano sollevato una questione di costituzionalità sull’articolo 263 del codice civile che regola l’impugnazione del riconoscimento per effetto di veridicità. La Consulta infatti non ha accolto l’eccezione anche se, leggendo la sentenza depositata, ha indicato una strada da percorrere. La storia è “complessa” come ha ammesso il relatore Giuliano Amato e va quindi raccontata dall’inizio.
Luca, lo chiameremo così, ha 5 anni ed è un bambino che “ufficialmente” non ha una mamma. Non perché orfano, ma perché nato in India grazie agli ovuli di una madre surrogata e l’altra donna, quella che lo sta crescendo, ha perso lo status di madre perché il Tribunale di Milano ha disconosciuto la sua genitorialità: dichiarando che ha violato la legge. Il papà però è quello biologico, come confermato dal Dna, e quindi la pratica di adottabilità, aperta dopo che la coppia aveva ammesso di aver fatto ricorso all’ovodonazione, è stata chiusa. Questa storia che si svolge a Milano ha percorso due binari ed è arrivata fino alla Consulta perché la Corte d’appello civile di Milano, davanti alla quale è stata impugnata la sentenza di primo grado che stabiliva che il piccolo non è figlio della donna italiana, ha accolto la richiesta del curatore speciale del bambino, Grazie Ofelia Cesaro, e di Francesca Maria Zanasi, legale della signora, di sollevare eccezione di costituzionalità.
Nell’udienza pubblica del 21 novembre lo stesso curatore ha sostenuto che non modificare la legge, per considerare caso per caso nell’interesse del minore, sarebbe stato come “fermare il tempo” anche perché nel corso degli anni lo stesso Parlamento ha cambiato la famiglia e il senso della famiglia, ha stabilito le uguaglianze dei figli. L’avvocato dello Stato, Chairina Aiello, invece ha sostenuto che lo Stato non è su una “posizione di retroguardia”, ma che la modifica della legge sarebbe incostituzionale.
I giudici non hanno accolto l’eccezione, ma hanno comunque aperto un percorso per questa mamma “bugiarda”: nella scelta tra verità e interesse del piccolo sembrano aver scelto il secondo. Perché se è vero che la maternità surrogata, che fa parte delle “pratiche vietate dalle legge”, “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”, dall’altra parte il giudice “è sempre tenuto a valutare comparativamente l’interesse alla verità e l’interesse del minore”. E anche in caso di silenzio della legge, vanno valutate “le modalità del concepimento” e “la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l’adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela”.
Nella sentenza la Corte afferma che anche nell’azione prevista dall’articolo 263 del Codice civile è “ineludibile la valutazione comparativa fra l’interesse alla verità e l’interesse del minore”. Ma vi sono casi in cui tale valutazione è fatta direttamente dalla legge (così è, ad esempio, per il disconoscimento del figlio concepito da fecondazione eterologa); ve ne sono altri “in cui il legislatore impone, all’opposto, l’imprescindibile presa d’atto della verità, con divieti come quello della maternità surrogata. Ma l’interesse del minore non è per questo cancellato”. “Nel silenzio della legge, come nel caso in esame, la valutazione – scrivono i giudicie – è dunque più complessa della sola alternativa vero/falso. Tra le variabili di cui tener conto, oltre alla durata del rapporto con il minore e, quindi, alla condizione identitaria già acquisita, oggi assumono particolare rilevanza le modalità del concepimento e della gestazione e la possibilità per il genitore sociale di stabilire, mediante l’adozione in casi particolari, un legame giuridico che garantisca al minore un’adeguata tutela”.
“La decisione della Corte Costituzionale sdogana la questione della maternità surrogata nell’interesse del bambino, affermando il legame con i genitori che l’hanno voluto – sostiene Gianni Baldini, che da anni rappresenta legalmente, anche davanti alla Consulta, coppie che sono andate all’estero per diventare genitori e hanno poi dovuto affrontare la legge italiana -. Fermo restando che non viene messo in alcun modo in discussione il divieto di surrogazione e l’illegittimità della pratica. Così come prevede la legge 40″. Il piccolo vive con i suoi genitori, per i servizi sociali che monitorano la situazione va tutto come deve andare. Ma a questa situazione si è arrivati con una pratica vietata e una bugia. La parola ora passa ai giudici di Appello di Milano che dovranno decidere tra verità o tutto il resto.
Aggiornato da redazione wen alle 20.21 del 19 dicembre 2017