Con una mano toglie, con l’altra restituisce: il ministro dello Sport, Luca Lotti, aveva introdotto nella legge di bilancio la riforma dei criteri di ripartizione dei diritti televisivi del calcio, che prevedeva di togliere quasi 100 milioni di euro l’anno alle grandi del pallone, per ridistribuirle fra le medio-piccole. Poi, quando si è accorto che il danno per i potenti sarebbe stato troppo grosso, in particolare per la Juventus di Andrea Agnelli, ha deciso di fare marcia indietro: nella manovra spunta il fattore dello “share certificato”, che essendo a favore delle big in maniera schiacciante, ridurrà sensibilmente la perdita. Con buona pace di chi sognava una divisione più democratica delle risorse per avere più equilibrio in Serie A.
LA RIFORMA DELLA MELANDRI – L’emendamento approvato dalla Commissione bilancio della Camera porta la firma ovviamente del Partito Democratico (della deputata Daniela Sbrollini, molto attiva in tema di sport e vicina al ministro Lotti). Di fatto, si tratta di un regalo da milioni di euro alle big della Serie A, ma soprattutto alla Juventus, che sarebbe stata la più penalizzata di tutte con la riforma della vecchia Legge Melandri. Il testo, come noto, prevede l’innalzamento dal 40 al 50% della quota da dividere in parti uguali. Ma la novità più sconvolgente sarebbe stata l’eliminazione di privilegi e criteri storici, in favore delle presenze allo stadio come fattore principale per il calcolo del cosiddetto “radicamento sociale” (che vale il 20% del totale): per la Juve, che ha uno stadio molto piccolo rispetto alle altre big, questo sì che sarebbe stato un bagno di sangue.
LO STALLO IN LEGA E LA TRATTATIVA CON LA POLITICA – A Palazzo Chigi, studiando la riforma, avevano messo in conto un piccolo travaso di 10-15 milioni di euro, per altro neutralizzabile con l’aumento del valore generale dei diritti tv. Quando però le simulazioni del nuovo meccanismo (fra cui quella pubblicata in anteprima da ilfattoquotidiano.it) hanno dimostrato che per le big la perdita sarebbe stata milionaria, e la Juventus avrebbe potuto rimetterci fino a 40 milioni di euro l’anno, ai piani alti è scattato l’allarme. Sono iniziate le dichiarazioni dei vertici bianconeri: “Si premi il merito, no all’assistenzialismo”, ha tuonato l’ad Giuseppe Marotta. Soprattutto, sono iniziate le pressioni sotto traccia, per smontare la riforma o quantomeno depotenziarla. Anche così si spiega lo stallo in Lega calcio, con una cordata di grandi società capeggiata da Agnelli che ha fatto ostruzionismo all’elezione del nuovo presidente, strizzando l’occhio a Lotti e a Giovanni Malagò sul possibile commissariamento del Coni, sperando magari di ottenere un trattamento di favore sui diritti tv, l’unica cosa che sta davvero a cuore ai presidenti della Serie A.
LA CONTRORIFORMA DI LOTTI – Due mesi dopo l’approvazione della prima bozza, l’obiettivo può dirsi raggiunto. L’emendamento approvato dalla Commissione col parere favorevole del governo cambia le carte in tavole: il miliardo di euro dei diritti tv continuerà ad essere diviso per il 50% in parti uguali, per il 30% sui risultati e per il 20% sul radicamento sociale. Ma quest’ultima quota sarà calcolata per “il numero di spettatori paganti che hanno assistito dal vivo alle gare casalinghe” e – questa è la novità – per “lo share televisivo certificato”. Per molti si tratta anche di una scelta di buon senso che i diritti tv vengano ripartiti in base all’audience. Di certo, si tratta del criterio che più favorisce le big: il divario fra gli ascolti di una partita della Juventus, e una del Sassuolo (tanto per fare un esempio) è abissale. Così la perdita verrà attutita, forse più che dimezzata: Il Fatto.it aveva preparato anche una seconda simulazione, immaginando l’introduzione di un nuovo criterio, e in quel caso il segno meno sarebbe stato di circa 20 milioni per la Juve, una decina per le milanesi e la Roma. Ed è così che finirà, probabilmente.