Tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Pontiggia, ambientato in una sonnacchiosa Pisa, Il giocatore invisibile ha come protagonista l’ambiente accademico con le sue usuali meschinità, favoritismi, studentesse prone ai professori ben oltre l’orario di lezione
“Ironia e disprezzo, il tono è ciò che conta”. Ha fatto solo un giro brevissimo di anteprime perlopiù locali in Toscana, ma Il giocatore invisibile di Stefano Alpini è uno di quei racconti morali, disteso per i canonici novanta minuti di durata, che avrebbe meritato miglior fortuna in sala. Tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Pontiggia, ambientato in una sonnacchiosa Pisa, Il giocatore invisibile ha come protagonista l’ambiente accademico con le sue usuali meschinità, favoritismi, studentesse prone ai professori ben oltre l’orario di lezione. Alpini fa affiorare e galleggiare vanità e compiacimento di un corpo docente disfatto e disumanizzato, tanto che la scintilla che fa sprofondare nel caos personale il professor Nari (Luca Lionello), docente di letteratura comparata, è una lettera pubblicata sull’ultimo numero della rivista Ateneo, in cui un anonimo autore lo accusa di aver commesso un errore grossolano in un suo articolo dedicato “all’elogio al tradimento”.
Nari ha citato come esempio positivo della sua tesi il “tradimento” di Jean-Luc Godard con il film Il disprezzo verso il romanzo di Moravia. Il delatore segnala però che Nari ha dimenticato che il film, nella sua versione italiana, è stato a sua volta “tradito” malamente dal produttore – Carlo Ponti – che ne ha modificato le musiche e tagliato parecchie scene. Nulla di che, per una personale normale, ma è questione di vita o di morte per l’affermato “barone” Nari, macchiato da questo schizzo di derisione pubblica. Il docente inizierà una detection tra colleghi in attività e in pensione per scoprire il colpevole. Alpini, già assistente alla regia di Roberto Faenza, fa quadrato attorno al protagonista del film, cucendogli addosso un dolente abito di fragilità umana e morale che trova il suo doppio simbolico nel vero Godard che appare alla fine del film consegnandoci una massima filosofica estrema sugli SMS della solitudine esistenziale dell’oggi.