Come negarlo: parlare di scienza è difficile, e a volte anche un po’ noioso. La divulgazione scientifica consiste nel raccontare al pubblico, in modo accattivante ma rigoroso, dei fenomeni complessi. Descrivendo una partita di calcio, chi legge sa subito che ci sono due squadre con 11 giocatori e una palla e che quando la Juventus perde 0-5 si tratta di un risultato inusuale. Quando si parla di scienza, invece, non è altrettanto immediato per il pubblico intuire sia l’argomento che il significato dei risultati. Esempio numero 1: è realmente preoccupante che un bambino di 6 anni ingerisca ben 100 ng di metilmercurio (CH3Hg+) ogni giorno, tutti i giorni? Esempio numero 2: quanto è pericolosa una singola goccia (solo 0,05 mL) di dimetilmercurio (C2H6Hg), una sola volta nella vita sulle mani di un adulto che indossa i guanti di protezione in latex?

Le risposte ai quesiti di cui sopra richiedono solo qualche click e una lettura attenta (vedi alla fine di questo post*). Il problema è che è molto più facile condividere che controllare. Per rendere la vita più agevole ai lettori, chi scrive introduce delle semplificazioni. È qui nascono i problemi. La divulgazione scientifica dovrebbe essere tanto rigorosa quanto un articolo su una rivista specialistica. Buona parte delle cosiddette fake news in campo scientifico non sono notizie inventate o false in senso stretto, ma sono piuttosto informazioni presentate in modo incompleto, distorto, sensazionalistico o tali da indurre il lettore ad abbracciare una tesi tutt’altro che dimostrata. In aggiunta, è forte la tentazione di “abbellire” i dati per propagandare quella che è percepita come una buona causa, mandando il rigore a farsi benedire. Questo problema colpisce in particolare gli attivisti dei movimenti ambientalisti.

Il riscaldamento globale è una delle emergenze che riguardano il nostro pianeta. Se fino a qualche anno fa questo poteva essere ritenuto un argomento controverso, oggi la massima parte dei climatologi è d’accordo nel riconoscere l’esistenza di questo fenomeno e ritenerlo causato dall’intervento umano. Qualche giorno fa è rimbalzata sui media la foto di un orso polare pelle e ossa che vagava sulla terraferma priva di ghiaccio.

We did not want to get too close to him. I did not want him using his last ounce of energy in trying to avoid us. It took him a long time and a lot of effort to be able to stand up only to collapse again. We let him be. It was one of the hardest decisions I have faced in a long time. I want the images to be able to tell his story. I want to be able to tell the story of his species. He was once a huge male polar bear and now he is a bag of bones, reduced to skin hanging loosely off of his once massive frame. He will be dead soon and I want him to go in peace after living a life as a great polar nomad. We cannot prove that he is in this condition because of a lack of sea ice but is it a glimpse into the future as ice reaches its lowest extent in recorded history? I hear a lot of suggestions from people like “let’s take polar bears to Antarctica so they can eat penguins” or “let’s put out styrofoam platforms so they can be on the ocean”. These suggestions are irrational but it does mean that people do care. The only way polar bears can be saved is by reducing our global carbon footprint and finding renewable energy. It breaks my heart to see this but our team at @sea_legacy is shifting into high gear to continue connecting the world to our ailing marine ecosystems. #MPA #keepoilexplorationoutofthearctic #climatechangeisreal #bethechange #riseup #hedoesnotspeakforme #love #beauty #hungry

Un post condiviso da Paul Nicklen (@paulnicklen) in data:

Questo scatto virale è stato condiviso da milioni di utenti ed è divenuto un’immagine iconica delle drammatiche conseguenze del riscaldamento globale. Non sembra più efficace postare una foto ad effetto piuttosto che riportare i noiosi numeri come negli esempi di cui sopra?

Attenzione! Come spiegato da un articolo della BBC, il luogo rappresentato è l’isola di Baffin, in un periodo dell’anno (agosto) nel quale normalmente non ci sono ghiacci. Non è possibile stabilire se l’orso sia davvero denutrito oppure semplicemente molto malato o anziano. Gli autori della foto sono membri di un’associazione ambientalista, la quale nel proprio sito afferma di creare comunicazioni visive di grande impatto per salvare i nostri oceani. La realtà è quindi ben diversa da quella che si vorrebbe rappresentare.

Difendere l’ambiente dall’inquinamento è una battaglia civica, ed è stato proprio grazie alla pressione dei movimenti ecologisti che la legislazione di molti Stati è divenuta molto più restrittiva. Tuttavia, per quanto possa condividere alcune campagne, l’informazione al pubblico deve essere il più possibile corretta e puntuale.

Dalla scienza fino alla politica, le campagne informative non si rivolgono agli estremisti. Chi ha un’idea ben radicata ben difficilmente cambierà idea, qualsiasi siano i dati e le argomentazioni presentate. Ben difficilmente i negazionisti dei cambiamenti climatici abbandoneranno le loro posizioni. Da questo punto di vista, la divulgazione scientifica potrebbe apparire del tutto inutile. Tuttavia, la maggioranza del pubblico appartiene a una vasta area grigia la quale, con opportune argomentazioni, può essere conquistata. Raccontare frottole ai lettori più attenti, quelli che probabilmente si convincerebbero comunque da soli, è un’azione devastante. Presentare questa foto in modo fuorviante non è servito a sensibilizzare le persone verso i cambiamenti climatici. Tutt’altro. Se chi l’ha condivisa poteva prima essere convinto in buona fede della veridicità della notizia, adesso probabilmente si chiede se il riscaldamento globale sia in realtà una bufala, proprio come la foto stessa.

Quindi, per difendere davvero l’ambiente è cruciale evitare qualsiasi errore comunicativo. Anche se la sofferenza dello specifico animale ritratto nella foto non ha nulla a che fare con il riscaldamento globale, gli orsi polari (e non solo loro) il cambiamento climatico lo subiscono davvero.

Il modo migliore per proteggere il nostro pianeta passa attraverso un’informazione di qualità e Fatti descritti in modo corretto.

Qui il video completo

* Risposte:

Primo esempio. 100 nanogrammi (0.1 microgrammi è UNA DOSE GIORNALIERA NON PREOCCUPANTE. Anche se il metil mercurio è tossico in concentrazioni elevate, la dose giornaliera considerata senza effetti per la salute di ingestione di mercurio totale è di circa 2 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo. Per un bambino di 20 chilogrammi (peso medio a sei anni), una dose giornaliera fino a 40 microgrammi (40.000 nanogrammi, 400 volte quella dell’esempio) dovrebbe essere ragionevolmente sicura.

Secondo esempio. Una singola goccia di dimetil mercurio è UNA DOSE POTENZIALMENTE LETALE. La chimica americana Karen Wetterhahn è morta in seguito all’esposizione accidentale di una goccia (circa 0.05 mL) di dimetil mercurio, circa 150 milligrammi. Il dimetil mercurio è molto più tossico del metil mercurio, e la quantità qui indicata è oltre un milione di volte superiore a quella del primo esempio.

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