Claudio Dal Pozzo e Giovanni Boccini erano stati condannati a 4 anni con rito abbreviato e poi assolti nel processo di secondo grado. La Cassazione ha confermato la scelta della Corte d'Appello: "Il fatto non costituisce reato". L'Osservatorio amianto: "Mille decessi, decine di casi ogni anno, zero colpevoli"
Assoluzione definitiva i due ex consiglieri di amministrazione della Fibronit di Broni, Claudio Dal Pozzo e Giovanni Boccini, finiti sotto processo per omicidio colposo per la lavorazione dell’amianto. “Il fatto non costituisce reato”, ha stabilito la quarta sezione penale della Cassazione, rigettando il ricorso della procura generale di Milano. Del Pozzo e Boccini erano stati condannati a 4 anni in primo grado dal gup di Pavia con rito abbreviato per disastro e omicidio colposo. In appello c’era stata la dichiarazione di prescrizione per il reato di disastro e l’assoluzione per l’ipotesi di omicidio.
“Circa 20 anni tra indagini preliminari e procedimento giudiziario nelle tre fasi, e ora anche sui morti di Broni cala il sipario”, sottolinea l’Osservatorio Nazionale Amianto. A Broni, spiega l’Ona, “ci furono più mille decessi” e “decine di nuovi casi ogni anno”, ma “nessuna responsabilità penale”. “Esprimo la mia incredulità per il giudizio della Cassazione, che ha rigettato il ricorso del procuratore generale della Corte di Appello di Milano, che era ben articolato e motivato e peraltro sostenuto anche dal procuratore generale presso la Corte di Cassazione – dice Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio e legale di oltre 20 parti civili – Purtroppo a questo punto rimane soltanto la via del giudizio civile, solo che la società Fibronit è fallita da tempo e quindi l’unico risarcimento che le vittime potranno avere sarà quello dell’Inail, anche attraverso il Fondo Vittime Amianto, che però non è stato adeguatamente finanziato“.
In primo grado, Dal Pozzo e Boccini, ex componenti del cda, erano stati condannati in abbreviato a Voghera a 4 anni di carcere. Il 20 ottobre 2016, la Corte d’appello li hanno assolti dall’accusa di omicidio colposo plurimo. L’altra ipotesi di reato contestata, quella di disastro ambientale, è invece caduta in prescrizione. Il collegio aveva anche cancellato i risarcimenti disposti dal giudice nei confronti di 252 parenti delle vittime, Regione Lombardia, Provincia e Asl di Pavia, Comune di Broni, Inail e altri. Nelle motivazioni i giudici avevano scritto che arrivare ad “affermare che tutte le aziende che trattavano amianto avrebbero dovuto chiudere già a partire almeno dagli anni ’70 è conclusione alla quale la giurisprudenza non si è voluta spingere”, perché, da un lato certe “conoscenze” su “fatti accaduti come minimo 20 anni prima delle decisioni” sono state acquisite solo di recente e, dall’altro, non si può “sottovalutare il problema sociale che la perdita di posti di lavoro” avrebbe comportato.
Nell’indagine sull’ex stabilimento, ora sottoposto a bonifica, furono coinvolti anche l’ex amministratore delegato Michele Cardinali e l’ex direttore dello stabilimento Lorenzo Mo. Entrambi sono stati condannati per omicidio colposo nel processo di primo grado conclusosi lo scorso febbraio davanti al tribunale di Pavia: il giudice ha stabilito 4 anni di pena per Cardinale e 3 anni e 4 mesi per Mo. Assolto invece l’ex consigliere Alvaro Galvani, 68 anni, per non aver commesso il fatto. Agli ex manager erano contestate le morti di lavoratori e residenti per la presenza di fibre di amianto in arrivo dalla Fibronit.