L’audizione più attesa, quella dell’ex amministratore delegato di Unicredit Federico Ghizzoni, non solo ha confermato in pieno che l’allora ministro Maria Elena Boschi gli chiese di valutare l’acquisizione di Banca Popolare dell’Etruria, circostanza da lei sempre smentita, ma ha anche fatto emergere un ruolo attivo e del tutto improprio da parte di Marco Carrai, uomo vicinissimo al segretario del Pd Matteo Renzi e alla stessa Boschi. Carrai infatti non ricopriva alcun ruolo istituzionale e non aveva alcun titolo per rivolgersi all’ad di Unicredit. Eppure il 13 gennaio 2015 scrive una mail a Ghizzoni: “Solo per dirti che su Etruria mi è stato chiesto di sollecitarti per una risposta nel rispetto dei ruoli”.
Poche righe che fanno saltare il vaso di Pandora: Unicredit è una società quotata e all’epoca la stessa Etruria lo era. Il fatto che fosse in corso una valutazione sull’eventuale acquisto della banca da parte dell’istituto di Piazza Gae Aulenti non era un’informazione nota, di pubblico domino. Si trattava dunque di un’informazione riservata: chi ha passato quest’informazione a Carrai chiedendogli di scrivere a Ghizzoni per sollecitarlo? Non avendo Carrai alcun ruolo ufficiale, a chi si riferisce quando scrive “nel rispetto dei ruoli”? Domande che – al netto delle giustificazioni dello stesso Carrai – chiamano in causa la stessa ex ministra Boschi, i dirigenti di Banca Etruria e probabilmente anche l’ex premier Renzi. L’audizione di Ghizzoni, lungi dal circoscrivere la questione delle “pressioni”, l’ha anzi allargata al “giglio magico”: già il giorno precedente il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha parlato dell’interessamento di Renzi (e non solo della Boschi) nei confronti di Etruria.
Ora emerge anche il “sollecito” di Carrai, e ancora altro è da chiarire: Ghizzoni, infatti, ricostruendo la cronologia dei fatti ha riferito di una telefonata ricevuta dalla sua segreteria a fine ottobre con la richiesta di un incontro da parte dei vertici di Banca Etruria. Nel corso della telefonata, riferisce Ghizzoni, viene riferito alla segretaria che della richiesta d’incontro erano al corrente anche non meglio specificati “organi istituzionali”. L’ex ad di Unicredit dice di aver pensato all’epoca che si potesse trattare della Banca d’Italia, ma alla luce di quanto avvenuto nei mesi successivi e delle intercettazioni telefoniche tra l’ex ad di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, e il vice presidente di Banca Etruria Pier Luigi Boschi, avrebbe potuto trattarsi benissimo di qualcun altro.
Fatto sta che, proprio in seguito all’incontro del 3 dicembre con Etruria, Unicredit aprirà la pratica per valutare l’acquisizione e pochi giorni dopo, il 12 dicembre, Ghizzoni incontrerà la ministra Boschi che gli chiederà a sua volta di valutare la possibilità di un intervento. L’incontro era stato richiesto dalla stessa ministra il 4 novembre. A fine gennaio, dopo il “sollecito” di Carrai, Unicredit comunica a Banca Etruria di non essere interessata all’acquisizione e Ghizzoni, incalzato dalle domande dei commissari, precisa anche che in seguito a quella decisione i rapporti con il governo non cambiano. In realtà qualcosa accade: il senatore Andrea Augello rileva che Palazzo Chigi – con l’opinione contraria del ministero dell’Economia – deciderà di bloccare all’ultimo una norma sulle Dta (imposte differite attive) che avrebbe equiparato il trattamento fiscale delle banche italiane a quello delle altre banche Ue. Nessun regalo, un semplice adeguamento che è stato poi fatto dal governo Gentiloni. Lo stop, però, costò a Unicredit circa 250-300 milioni di euro essendo la banca italiana con le maggiori Dta e Ghizzoni – incalzato da Augello – è costretto a confermare che all’epoca “si incavolò moltissimo” e chiamò il ministero dell’Economia “per chiedere spiegazioni”. C’è un rapporto causale tra il no all’acquisizione di Etruria e lo stop a una norma che avrebbe avuto un impatto positivo soprattutto sui conti di Unicredit? Il sospetto è forte, anche perché il ministro Padoan era assolutamente favorevole a quell’intervento, come ha ricordato nel corso della sua audizione in Commissione banche, e non è stato in grado di spiegare le ragioni per le quali Palazzo Chigi, cioè il presidente del consiglio Renzi, avesse deciso all’ultimo di bloccarla.
Ghizzoni ha assolutamente negato di aver vissuto come una “pressione” la richiesta del ministro Boschi di valutare l’acquisizione di Etruria e riguardo al “sollecito” di Carrai di non aver voluto approfondire o chiedere spiegazioni per evitare di aprire un canale di comunicazione improprio. Si sarebbe limitato a rispondere che Unicredit, al termine del processo di valutazione, avrebbe comunicato l’esito finale a Banca Etruria. Ghizzoni ha anche osservato che il sentire o meno una “pressione” è un fatto soggettivo: lui probabilmente ci ha fatto un po’ il callo, come dimostra la sua stessa storia di amministratore delegato della banca di Piazza Gae Aulenti, dove a contare davvero era l’ex vice presidente Fabrizio Palenzona con il suo braccio destro Roberto Mercuri (altro personaggio che, come Carrai, non ricopriva alcun ruolo ufficiale). Non solo. A ben guardare, proprio le pressioni che avevano indotto Ghizzoni a impegnare Unicredit nel salvataggio di Popolare Vicenza gli sono costate il posto di amministratore delegato. A togliere le castagne dal fuoco arrivò il fondo Atlante, che più che scongiurare il crac delle due banche venete, evitò quello della banca formalmente guidata da Ghizzoni. Ma questa è un’altra storia. O forse no.