E’ un vero peccato che la politica italiana, anche quando agìta da persone giovani e di sinistra, non riesca ad adottare modalità di confronto e dialogo aperte, rispettose delle critiche anche più accese. Dovrebbe essere un principio sacrosanto, mentre viene messo giornalmente in discussione anche in quei Movimenti che dichiarano di avere l’ascolto, l’apertura e il rispetto quali principi fondamentali. Invece no: il sistema che vige in tutto il Paese influenza evidentemente anche gli esponenti più giovani dei partiti più di tendenza: non è permesso criticare il potere. La critica come espressione di lesa maestà.
Qualche giorno fa in molte e molti avevamo messo in dubbio le modalità con le quali il nuovo partito Liberi e Uguali aveva scelto di presentarsi: immagini solo di leader uomini (Grasso, Civati, Fratoianni e Speranza), un nome al maschile, Liberi e Uguali appunto, e un logo al quale venivano aggiunte delle foglioline per formare una “E” a voler significare il plurale femminile oltre ad ecologia e forse altro. Non molto per ricordare il 51% della popolazione.
Da un partito composto da uomini che si definiscono femministi, le donne si aspettavano, giustamente, ben altro. Le proteste espresse su Facebook e Twitter sono state numerose e pacatissime: chiedevano spiegazioni ai leader uomini, di quella presentazione così maschia, chiaramente dimentica dell’elettorato femminile.
La reazione di Liberi e Uguali è stata scomposta e sorprendentemente inadeguata: gli iscritti e simpatizzanti del partito hanno risposto con toni aggressivi attraverso la dinamica velenosa dei social: alla protesta civilissima delle singole persone, molti appartenenti al movimento hanno reagito dileggiando chi aveva osato dissentire. Tra gli epiteti utilizzati spiccava sorprendentemente anche “veterofemminista” utilizzato come insulto verso chi aveva fatto notare la poca presenza femminile; considerando che il giovane triumvirato Civati/Speranza/Fratoianni si era spesso dichiarato con orgoglio “femminista”, le donne che avevano espresso dubbi sulla validità della campagna di comunicazione si ponevano domande allarmate sulla veridicità del sentimento femminista che, in teoria, avrebbe dovuto albergare nei cuori dei tre leader.
Tutta questa bagarre avveniva online e dunque sotto gli occhi di milioni di persone.
Non c’è bisogno di frequentare corsi di Media Relation ad Harvard: tutti ci siamo accorti di come la reputazione in rete sia fondamentale per un’azienda così come per un partito. Quando alla fine di un weekend scriviamo un’opinione negativa sull’albergo dove siamo appena stati e la postiamo su TripAdvisor, nel 99% dei casi il gestore o l’addetto alle relazioni di quell’albergo ci risponde innanzitutto ringraziandoci, scusandosi di avere mancato, ed eventualmente giustificando le critiche segnalate con estrema gentilezza; la ragione è chiara: i lettori della pagina non vorrebbe andare in un albergo gestito da personale aggressivo e maleducato.
Il cliente ha sempre ragione. Da quando c’è internet, ancora di più.
Ora immaginiamoci se alla nostra critica sul social network che classifica gli hotel, ci venisse risposto dal gestore dell’albergo che non capiamo nulla, che siamo incapaci di comprendere la grandezza dell’albergo in questione, che di gente come noi l’albergo ne fa volentieri a meno e come osiamo scrivere critiche di questa fatta, per terminare affermando che non capiamo nulla. Ci vorreste andare in quell’albergo? La risposta è evidente.
Allo stesso modo dovrebbe funzionare per la politica quando si trovi a dover rispondere alle critiche formulate pacatamente dalle cittadine. Che votano, tra l’altro.
E’ incomprensibile come in Italia la comunicazione dei partiti sia spesso gestita in modo approssimativo e non professionale.
E dunque ecco un Prontuario sulla Comunicazione efficace utile agli amici di Liberi e Uguali.
1. Se alcune persone, donne e uomini, tra cui alcune note influencer, molto attive in rete e molto seguite, rilevano una mancanza nel partito non è opportuno:
– dileggiare
– insultare
– prendere per i fondelli
– utilizzare “femminista” come fosse un insulto (potrebbe significare tanti voti persi, attenzione!)
– banalizzare chi combatte per la parità di diritti.
2. Invece è altamente consigliabile:
– far tacere le schegge impazzite del partito che usano Twitter come fosse il balcone di casa dal quale urlano alla vicina
– non ritwittare i commenti delle schegge impazzite in modo da far apparire fuori luogo solo la suddetta scheggia impazzita e non l’intero movimento
– ripassare il Manifesto di parole ostili e obbligare i componenti del partito ad utilizzarlo
– non appellare “maestrina” con tono ironico persone che, se ascoltate, potrebbero servire molto alla crescita del partito
– ricordarsi che fuori dai partiti c’è la Società Civile composta anche da persone preparate, colte, impegnate e oneste, spesso più della media degli appartenenti al partito. Alcune di loro molto ascoltate e seguite. E molto stanche dell’improvvisazione di certa politica
– ricordarsi che un partito in rete è “guardato” da milioni di persone e che la netiquette conta
– più di tutto: accogliere le critiche, rifletterci e ringraziare chi critica educatamente e con competenza. Sia perché è corretto farlo, sia perché potrebbe essere utile, sia perché fino alla data delle elezioni ogni persona è una possibile elettrice o elettore.
Quanto scrivo viene adottato come griglia di comunicazione efficace in tutti i Paesi civilizzati.