Puntuale come l’Herpes Simplex psicosomatico, ogni anno arrivava il Natale e nonostante personali attriti con il signor Santa Claus irritato dal mio disinteresse nei suoi confronti (non gli ho mai scritto una letterina), ero felice. Che permaloso però… Erano gli anni in cui nessun coetaneo avrebbe mai osato dire “Che palle il Natale!”, più che altro non sarebbe stato credibile, perché Natale era proprio una figata.
Natale significava stare a casa da scuola, ricevere regali, andare a letto tardi, farsi accompagnare al cinema, giocare e poi nell’aria si respirava una magica atmosfera di attesa fatta di riti irrinunciabili, uno per tutti: l’acquisto delle statuine del presepe. Noi, piccolo esercito di consumatori in erba sapevamo benissimo che le migliori le avremo trovate al mercatino di Santa Lucia (città che vai, mercatino di Natale che trovi, nel mio caso è Bologna) tra luci, zucchero filato, stalle, mangiatoie, re magi, stelle comete, alberi di natale, pesci rossi, pesci bianchi ed olio di tigre.
Folle di adulti muniti di bimbi con cuffia affollavano il portico e se nevicava si era ancor più contenti, tutti inconsapevoli del fatto che da grandi, prima o poi, qualcuno avrebbe osato dire: “Che palle il Natale!”. No!!! Fermi tutti! Proviamo invece a godercela che a romperci le palle facciamo in tempo tutto l’anno e l’alibi del Natale mi sembra deboluccio. O no?
Auguri a tutti, soprattutto agli odiatori della rete (in nerditaliano: haters)!