I lavoratori della Santa Sede lamentano le assunzioni bloccate, l’eliminazione della vaccinazione gratuita per i figli dei dipendenti e, ultimamente, la fine della vendita delle sigarette a un prezzo agevolato. Non è un caso se Bergoglio ha fatto mea culpa. Mentre non ha risparmiato critiche alla Curia e in particolare ai "traditori di fiducia"
A fare un sondaggio off the record tra i dipendenti vaticani il risultato sarebbe a dir poco scontato. Dopo cinque anni di pontificato di Francesco il malcontento di coloro che lavorano nella Santa Sede è altissimo. Il motivo è il trattamento che i dipendenti vaticani denunciano essere peggiorato, e di molto, nonostante gli appelli del Papa alla tutela dei diritti dei lavoratori. In principio a incrinare il rapporto fu la decisione di Francesco, a fumata bianca appena avvenuta, di non dare come tradizione il bonus di inizio pontificato nella busta paga a tutti i dipendenti della Santa Sede. Una gratifica rituale sia quando muore o si dimette il Papa, sia quando viene eletto il successore. Il bonus nasce proprio per ricompensare i lavoratori vaticani che, durante la Sede Vacante, sono costretti ad affrontare un carico di impegni decisamente maggiore con lo stesso stipendio. Con le dimissioni di Benedetto XVI la gratifica fu regolarmente concessa, ma con l’elezione di Francesco questo non avvenne.
Da lì in avanti hanno contribuito a suscitare grande malcontento prima le assunzioni bloccate, poi gli scatti di livello fermi da diversi anni e con essi anche gli aumenti degli stipendi e, infine, una serie di piccole agevolazioni che sono scomparse. Due esempi per tutti: l’eliminazione della vaccinazione gratuita per i figli dei dipendenti e, ultimamente, la fine della vendita delle sigarette in Vaticano a un prezzo decisamente molto agevolato. Per questi motivi Bergoglio, nel discorso di auguri natalizi tenuto quest’anno a braccio ai dipendenti dei sacri palazzi, ha voluto rispondere al malcontento dei lavoratori del suo piccolo Stato. Per dimostrare che le critiche, concentrate principalmente sulle sue riforme, sono a lui ben note.
Non è un caso, quindi, che il Papa, a differenza di quanto aveva fatto negli ultimi due anni dove ai dipendenti aveva chiesto scusa per gli scandali del Vaticano, ha voluto rivolgere un mea culpa per il lavoro nero e quello precario che ancora ci sono nei sacri palazzi. Francesco ha così voluto fare sue le critiche dei suoi lavoratori sottolineando che questo “è un problema di coscienza per me: non possiamo predicare la dottrina sociale e poi fare queste cose che non stanno bene”. Un applauso fiducioso ha accompagnato le parole di Bergoglio in un’Aula Paolo VI con troppe sedie vuote a dispetto dei suoi 7mila posti.
Se da un lato ai dipendenti vaticani il Papa ha voluto riservare parole comprensive e di speranza, dall’altro non ha risparmiato durissime critiche, come del resto ormai nella sua tradizione, alla Curia romana. Due su tutti i passaggi più forti del lungo discorso di Francesco. Il primo riguarda l’invito a “superare quella squilibrata e degenere logica dei complotti o delle piccole cerchie che in realtà rappresentano, nonostante tutte le loro giustificazioni e buone intenzioni, un cancro che porta all’autoreferenzialità, che si infiltra anche negli organismi ecclesiastici in quanto tali, e in particolare nelle persone che vi operano”.
Il secondo, invece, riguarda “un altro pericolo, ossia quello dei traditori di fiducia o degli approfittatori della maternità della Chiesa, ossia le persone che vengono selezionate accuratamente per dare maggior vigore al corpo e alla riforma, ma, non comprendendo l’elevatezza della loro responsabilità, si lasciano corrompere dall’ambizione o dalla vanagloria e, quando vengono delicatamente allontanate, si auto-dichiarano erroneamente martiri del sistema, del ‘Papa non informato’, della ‘vecchia guardia’…, invece di recitare il ‘mea culpa’. Accanto a queste persone ve ne sono poi altre che ancora operano nella Curia, alle quali si dà tutto il tempo per riprendere la giusta via, nella speranza che trovino nella pazienza della Chiesa un’opportunità per convertirsi e non per approfittarsene. Questo certamente – ha concluso il Papa – senza dimenticare la stragrande maggioranza di persone fedeli che vi lavorano con lodevole impegno, fedeltà, competenza, dedizione e anche tanta santità”.
La lista dei “traditori di fiducia”, in appena cinque anni di pontificato, è già assai lunga: dallo scandalo Vatileaks 2 (www.ilfattoquotidiano.it/2016/07/07/vatileaks-2-nuzzi-e-fittipaldi-prosciolti-condannati-vallejo-balda-e-chaouqui/2888230/) a quello della ristrutturazione dell’attico del cardinale Tarcisio Bertone coi soldi della Fondazione Bambino Gesù. Così come ugualmente si allunga l’elenco degli oppositori papali, più dentro che fuori la Curia romana. Nei saluti finali che sono seguiti al discorso di Francesco non sono mancate le strette di mano, alquanto fredde, con i critici del pontificato: i cardinali Raymond Leo Burke, Gerhard Ludwig Müller e Robert Sarah. I primi due il Papa li ha rimossi dai loro incarichi. A Burke lo ha destinato al ruolo onorifico di patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, benché anche lì sia stato commissariato da Francesco con monsignor Giovanni Angelo Becciu. Müller, invece, è stato pensionato sulla soglia dei 70 anni. A Sarah il Papa ha riservato una dura lettera di richiamo, pubblica come del resto era stata la critica del porporato africano a una legge emanata da Francesco.
Ma nella lista dei “traditori di fiducia”, molti dei quali continuano ancora ad agire nell’ignoto, può essere ascritto anche il cardinale Bernard Francis Law che, in quasi 20 anni di episcopato a Boston, ha coperto centinaia di preti pedofili contribuendo così a distruggere le esistenze di migliaia di bambini e delle loro famiglie. A lui, nonostante tutto, come tradizione per tutti i porporati che muoiono a Roma, il Papa ha voluto riservare l’onore dei funerali nella Basilica Vaticana e benedire personalmente la bara al termine del rito. Il segno eloquente di quella misericordia chiesta più volte da Francesco, ma anche l’invito a cambiare decisamente rotta altrimenti la Chiesa cattolica perderà per sempre la sua credibilità. Significativo è, infatti, che, proprio parlando alla Curia romana, Bergoglio ha citato la celebre espressione di monsignor Frédéric-François-Xavier De Mérode: “Fare le riforme a Roma è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti”. Un messaggio diretto anche agli scontenti dipendenti vaticani ad avere fiducia nel Papa in quest’opera di cambiamento che richiede molto tempo e che, soprattutto all’inizio, può costare la perdita di diversi privilegi acquisiti nel tempo.
Twitter: @FrancescoGrana