La Regione Lazio ha finanziato, con i fondi europei a propria disposizione, progetti mai realmente partiti. È questa la tesi dell’ufficio Audit, Evaluation et Communication della Commissione Europea. Ed ora, l’ente guidato da Nicola Zingaretti potrebbe essere costretto a restituire i soldi a Bruxelles, compresi 77mila euro assegnati al Gruppo L’Espresso per un call-center sanitario che non risulta essere “mai stato attivato”. La dura relazione – anticipata ieri dall’Ansa e di cui Ilfattoquotidiano.it è in possesso – è firmata dal direttore Francisco Merchan Cantos ed è stata inviata all’Autorità regionale Audit dei programmi Fesr e Fse, Valeria Raffaele. Nel testo si afferma che il sistema di verifica sulla gestione dei fondi europei “essenzialmente non funziona” e l’ente rischia di “perdere il 25 per cento” dei finanziamenti nel prossimo quinquennio se non seguirà le prescrizioni europee. L’ispezione ha avuto ad oggetto 8 programmi presi a campione, su due dei quali gli ispettori hanno disposto la restituzione del 100% delle somme, ottenendo una media del 25% di errore che potrebbe essere appunto applicata alla Regione Lazio.
“VERIFICHE INAFFIDABILI”
In particolare il controllo dei quattro ispettori europei – Giulia Fraschetti, Mihai Titire, Roxana Osiac e Salvatore Del Prete – è relativo alla gestione dei pagamenti e delle rendicontazione fatte durante l’amministrazione Zingaretti in relazione ai bandi comunitari 2007-2013. Nel verbale di ispezione vi è l’opinione del 22 settembre 2017 emessa all’esito degli accertamenti, in cui si legge testualmente che “gli ispettori non hanno ottenuto una ragionevole rassicurazione che l’attività svolta dall’Autorità di Audit sia conforme ai requisiti previsti dal Regolamento in relazione alle seguenti mancanze materiali: verifiche inaffidabili sulla conformità con la normativa sugli aiuti di stato; inaffidabile livello di errore stimato comunicato sulla spesa certificata nelle note di pagamento finali”. Il livello di affidabilità ottenuto in relazione all’efficienza del sistema può essere classificato come “categoria 4: il sistema non funziona strutturalmente”, ovvero il livello peggiore. E ancora: “Sono state riscontrate numerose mancanze che hanno portato o possono aver portato a irregolarità. L’impatto sull’effettiva funzionalità del sistema requisiti chiave/autorità è significativo”, quindi “lo Stato membro e la Commissione Europea devono porre in essere le misure correttive (ad esempio la sospensione dei pagamenti) al fine di ridurre il rischio di uso improprio di fondi UE”.
IL GIALLO DEL CALL CENTER
Fra i progetti di cui gli ispettori Ue non hanno avuto alcun riscontro, spicca quello del call-center del Gruppo Editoriale L’Espresso che, a quanto pare, avrebbe dovuto occuparsi di consulenze sanitarie. “L’Espresso – si legge – aveva già un medico interno che svolgeva mansioni obbligatorie una volta alla settimana, prima della presentazione del progetto. Inoltre, nessuna prova è stata trovata sull’esistenza di normali attività di consulenza medica. Su nostra richiesta, il beneficiario non ha potuto fornire un elenco di pazienti che hanno ricevuto cure mediche. Il beneficiario ha ammesso che il call-center, come descritto nella proposta di progetto, non è mai stato attivato”. Inoltre, “nessuna intranet è stata creata e, di conseguenza, nessun dipendente è stato informato dei presunti servizi forniti finanziati”. E non è nemmeno tutto. “Le schede delle 6 persone incaricate del progetto non sono sufficientemente dettagliate. Non esiste un elenco delle attività svolte o delle ore di monitoraggio per l’implementazione del progetto”. E la Regione? “L’autorità di gestione non ha richiesto la spiegazione dell’elemento utilizzato per calcolare la tariffa oraria. Questo punto non è stato neppure sollevato dall’autorità di audit”. All’Ansa, in serata, il Gruppo Gedi ha smentito tutto affermando che “abbiamo regolarmente svolto e documentato l’attività e siamo pronti per eventuali richieste di integrazione“.
ZINGARETTIANI: “FAKE-NEWS”
In una nota, la Regione Lazio ha precisato che si tratta infatti di una procedura del tutto ordinaria, che per altro riguarda soltanto una parte minima dei progetti promossi dalla Regione: soli 8 progetti su 8.000 (lo 0,1%) che ricordiamo non sono stati bocciati, ma sono soltanto sottoposti a una fase di verifica”. Mentre la dirigente dell’Authority, Valeria Raffaele spiega che “è solo la bozza in inglese di un rapporto preliminare, quando lo riceveremo in italiano avremo due mesi per mandare le nostre controdeduzioni”. La notizia, ovviamente, ha creato una forte polemica politica nell’ambito della Regione Lazio pronta per il voto in primavera. Roberta Lombardi, candidata governatrice per il M5S, ha annunciato un esposto in Procura, duramente attaccata dal vicepresidente regionale, Massimiliano Smeriglio, che parla di “una sconcertante macchina del fango basata su fake news”. Senza fare direttamente riferimento alla vicenda, anche il governatore Nicola Zingaretti, sul suo profilo Facebook, ha affermato che “non faremo mai una campagna basata sulle risse, sul fango e sulla diffamazione. La nostra sarà una campagna di idee e soluzioni concrete per le persone e tra le persone. Difenderemo sempre il Lazio da chi vuole distruggerlo. Se ne facciano una ragione”, mentre fra i zingarettiani ha iniziato a girare un’infografica dove si annunciano “querele per i professionisti del fango”.