La Commissione del Senato sugli infortuni sul lavoro, presieduta da Camilla Fabbri, lo scrive nella relazione finale sull'incidente, approvata all'unanimità negli scorsi giorni. Tanti i punti in comune con le indagini della procura. Sul quadro normativo: "Un coacervo disarticolato di leggi prodotte in epoche diverse, va revisionato urgentemente"
Certo, l’errore umano dei due capostazione. Ma le varie colpe individuali “evidentemente” si inseriscono “in una colpa di sistema” attribuibile “all’organizzazione della sicurezza”. Ed è lì che bisogna ricercare la ‘madre’ dei problemi, secondo la Commissione d’inchiesta del Senato sugli infortuni sul lavoro. Perché se tutto fosse filato per il verso giusto al livello superiore, gli errori umani “non sarebbero sorti”. In sintesi, “una diversa organizzazione avrebbe impedito l’innesco e/o sviluppo causale che ha portato al disastro” ferroviario tra Andria e Corato, nel quale morirono 23 persone e rimasero feriti in 51. La Commissione, presieduta dalla senatrice dem Camilla Fabbri, lo scrive nella relazione finale sull’incidente, approvata all’unanimità negli scorsi giorni.
Al termine delle audizioni e sulla base degli atti prodotti dalla procura nel corso dell’indagine penale chiusa nelle scorse settimane, i parlamentari segnalano diverse anomalie. Tra le novità, la presenza di “entrambi i libretti” rilasciati quando i treni entrano in servizio presso gli uffici di Ferrotramviaria, “diversamente da quanto disposto dal ministero dei Trasporti”. Uno dei due, infatti, avrebbe dovuto essere conservato negli uffici dell’Ustif, l’ente periferico dello stesso ministero che si occupava – all’epoca dell’incidente – della sicurezza sulle ferrovie locali. “Si tratta di un particolare non semplicemente burocratico – si legge nella relazione – che evidenzia il deficit amministrativo sulla qualità, accuratezza e sistematicità dei controlli che avrebbe dovuto eseguire l’Ustif”.
Ribadendo quanto anticipato dal Fatto.it nei giorni successivi allo scontro, la commissione spiega che “lo scontro non si sarebbe verificato se ci fosse stato un sistema di blocco automatico“, una tesi esposta anche dalla procura di Trani nell’avviso di conclusione indagini. “Basterebbe tale considerazione per imputare condizionalisticamente la causa del disastro a chi non ha provveduto ad ammodernare il sistema di blocco”, stabiliscono i senatori.
Anche per questo, proseguono, gli errori umani costituiscono “l’ultimo anello di una serie di criticità organizzative che nel complesso favoriscono l’insorgere di deficit del sistema organizzativo di un’attività”. Ferrotramviaria, a loro avviso, avrebbe dovuto attivarsi dopo gli svariati “quasi incidenti” avvenuti lungo la sua tratta tra il 2003 e il 2016: gli episodi di rischio di collisione, ad iniziare da uno avvenuto il 21 ottobre 2014 e “del tutto simile al disastro” dello scorso anno, avrebbero dovuto spingere verso “una diversa politica aziendale attenta alla sicurezza“. Invece, l’azienda “non ha messo in atto alcuna misura urgente per il miglioramento delle competenze” dei lavoratori nonostante “avesse in mano tutte le evidenze documentali derivanti dalle condotte dei propri operatori”.
Nella relazione si fa cenno anche a una “carente formazione/informazione” di capitreno e macchinisti. “Si pensi che, come emerso dall’attività di polizia giudiziaria, più della metà dei capitreno e macchinisti (…) a precisa domanda ha mostrato di non conoscere l’obbligo di effettuare il controllo visivo dei treni incrocianti”. Una “norma basilare” del regolamento di circolazione treni. Così come, sostengono i commissari, l’assenza di una tecnologia all’avanguardia per mitigare i rischi di incidenti “evidenzia soprattutto la disattenzione per investimenti per la riduzione del rischio del non distanziamento dei treni”.
Richiamando la “progressiva” destinazione di finanziamenti verso l’acquisto di materiale rotabile e il raddoppio del binario, anche se inizialmente “destinati all’ammodernamento tecnologico degli impianti di segnalamento”, esprime – per i commissari come per la procura – “una politica aziendale” tesa ad “incrementare la qualità del servizio” e “la capacità dell’infrastruttura”, ma “non la sicurezza”. Ancora una volta, quindi, concludono i senatori, l’inchiesta sull’incidente ha rilevato “una visione burocratica della sicurezza” che viene affrontata con “adempimenti formali, cartacei, statici”.
Anche se, si legge nella relazione, bisognerebbe migliorare anche il quadro normativo in materia di sicurezza ferroviaria, che attualmente è “un coacervo disarticolato prodotte in epoche diverse” che si è “riverberata sulla efficienza dei controlli e sulle competenze degli organi di vigilanza ordinari e speciali”. Serve quindi una “urgente revisione”, scrivono i commissari, perché attualmente “gli organi di vigilanza navigano a vista in un settore che esige programmazione, competenza, tecnicismo, efficienza e diffusività dei controlli”.
Poi il suggerimento, per il quale la senatrice Fabbri si è già attivata con il deposito di un disegno di legge: “La riferibilità delle cause del disastro all’organizzazione della sicurezza suggerisce al legislatore un’urgente revisione” della legge 231 del 2001, quella sulla sicurezza appunto, perché attualmente si può applicare a reati colposi di omicidio e lesioni gravi ma non al disastro “che è invece chiaramente il prodotto della disorganizzazione e della mala gestio della sicurezza”.