Due anni fa un documento di 569 pagine riguardante la gestione delle scuole professionali, un affare da 90 milioni di euro all'anno, aveva gettato lo scompiglio a Venezia. VicenzaPiù ha scritto una serie di articoli sull'argomento. Adesso è arrivata la citazione in giudizio da parte della giunta regionale e quattro denunce per diffamazione. Il direttore del sito: "Un autogol"
La giunta regionale del Veneto fa causa a un giornale online vicentino per aver pubblicato una raffica di articoli in buona parte mutuati da un dossier che la stessa Regione, due anni fa, ha inviato alla procura perché aprisse un’inchiesta. Per quanto paradossale possa sembrare, la vicenda si è tradotta in un atto di citazione con cui quattro avvocati di Palazzo Balbi a Venezia si rivolgono alla magistratura civile (ma ci sono anche quattro querele per diffamazione) per chiedere che direttore ed editore di VicenzaPiù vengano condannati a pagare 410mila euro di danni. Intanto del famoso fascicolo di denuncia non si sa più nulla. O perlomeno il suo destino è coperto dal segreto istruttorio. Di certo la storia è piuttosto esplosiva e potrebbe da un momento all’altro tornare a galla.
Due anni fa un documento di 569 pagine riguardante la gestione delle scuole professionali, un affare da 90 milioni di euro all’anno, aveva gettato lo scompiglio a Venezia. Non solo perché faceva nomi e cognomi, indicava fatti e circostanze di quella che sembrava essere – secondo gli estensori – una opacità amministrativa. Ma anche perché a brandirlo come una clava era stato il consigliere regionale Sergio Berlato, ex assessore di Forza Italia, rieletto con Fratelli d’Italia, che non sembrava preoccupato di sparare bordate contro il sistema politico di cui aveva fatto parte. “L’ho ricevuto da alcuni operatori del settore che hanno deciso di ribellarsi e di denunciare un presunto sistema esistente mirante ad utilizzare in modo distorto i fondi pubblici destinati alla formazione professionale” aveva detto, citando anche lo scandalo Mose. In precedenza sull’argomento aveva presentato quattro interrogazioni.
Il governatore Luca Zaia aveva girato tutto alla magistratura e il presidente del consiglio regionale, Roberto Ciambetti (“Se la giustizia deve intervenire, lo deve poter fare nei tempi più brevi possibile”) si era recato personalmente dal procuratore Luigi Delpino, che aveva preso in carico le carte scottanti. L’assessore al lavoro Elena Donazzan aveva parlato di una ripicca di Berlato contro di lei, assicurando che i fatti sarebbero stati verificati in via amministrativa, per allontanare ombre o sospetti.
Dopo di allora, il silenzio. Che è stato rotto dalla notifica della citazione per danni da parte dell’Avvocatura Regionale. Gli avvocati Ezio Zanon, Antonella Cusin, Luisa Londei e Bianca Peagno si sono mossi nell’interesse della Regione Veneto nella persona del vicepresidente leghista Gianluca Forcolin e di tre dirigenti Santo Romano (direttore del dipartimento formazione), Claudia Bettin (funzionario amministrativo) e Massimo Toffanin (funzionario) dell’assessorato all’Istruzione, alla formazione e lavoro. Palazzo Babi è partito lancia in resta contro gli articoli che il direttore di Vicenza Più, Giovanni Coviello, ha cominciato a scrivere alla fine del 2016 e che hanno costituito le puntate di una lunga inchiesta giornalistica. Ha attinto a piene mani dal famoso dossier reso pubblico da Berlato, noto cacciatore e sponsor delle associazioni venatorie, che con l’assessore Donazzan non sembra avere un rapporto idilliaco. Quest’ultima lo ha attaccato nei giorni scorsi perché la legge finanziaria regionale ha stanziato centinaia di migliaia di euro per corsi sulla caccia: “Sarebbe meglio destinare quei soldi per salvare posti di lavoro”.
Tornando al dossier, gli avvocati della Regione scrivono: “Gli articoli denunciavano un ipotetico e non provato sistema di corruzione, teso a distrarre risorse pubbliche della formazione professionale, che sarebbero state destinate a favore di determinati organi di formazione accreditati (Irigem, Centro di Formazione Professionale Lepido Rocco, ad esempio), rappresentando l’esistenza di criteri non trasparenti ed imparziali dei controlli operati dalla Regione sulle rendicontazioni degli enti di formazione”. L’inchiesta giornalistica è partita proprio da quelle pagine e tira in ballo non solo qualche dirigente, ma anche le strutture regionali, politiche e di controllo, arrivando al punto di titolare uno dei pezzi, come lamentano gli avvocati: “Formazione in Regione Veneto, presunto ‘Clan Romano’ e ruolo di Elena Donazzan nella ‘cupola della P. A.’”.
L’atto di citazione rispolvera i passaggi più delicati del dossier. Ad esempio la revoca dell’accreditamento all’ente Ipea di Bassano del Grappa e l’assegnazione dei corsi e dei finanziamenti alla Irigem della famiglia Jannacopulos…”. Quest’ultima, di origine greca, è piuttosto potente in Veneto, essendo editrice di emittenti televisive come Rete Veneta e Antenna Tre. Gli avvocati ricordano che tutta l’attività di formazione è controllata da un Comitato di sorveglianza presieduto da Zaia in persona, con rappresentanti delle realtà economico-sociali.
In realtà di un “Sistema Romano”, riferendosi al dossier, a quell’epoca avevano scritto tutti i quotidiani locali, anche perchè l’ex leghista Santino Bozza aveva presentato una interrogazione in cui parlava di 3 milioni di “cresta” sui finanziamenti. E il giornalista Sandro Mazzaro del Mattino di Padova si era spinto a indicare l’autore del dossier nel padovano Stefano Spiandorello, titolare assieme a Iles Braghetto, ex assessore regionale alla Sanità, di tre enti di formazione professionale (Accademia Paigina di Treviso, Agf di Padova e Ipea) entrati in rotta di collisione con l’assessorato veneziano.
In attesa che la magistratura batta un colpo, Coviello, direttore di Vicenza Più, commenta: “Siamo abituati a subire attacchi ‘temerari’ palesemente intimidatori per le nostre inchieste. Lo ha fatto anche Gianni Zonin di Popolare Vicenza. Ci meraviglia però la citazione da parte della Regione Veneto che è un autentico autogol – dice – Noi abbiamo esercitato e continuiamo a esercitare il diritto di cronaca basandoci su documenti in nostro possesso e sul dossier che lo stesso presidente Zaia ha depositato in Procura”. E l’accusa di aver parlato di un “Clan Romano”? “Calcare la richiesta di danni sulla citazione da parte nostra di un ‘presunto clan’ devia l’attenzione dai fatti e dai documenti. Ma lo sa che negli scorsi mesi 12 persone, citate a vario titolo nei nostri articoli di inchiesta, tra cui le tre in cui difesa ora corre la Regione, ci hanno inviato 12 diffide identiche a non proseguire nel nostro lavoro giornalistico? Se 12 soggetti firmano 12 atti distinti, ma uguali cos’altro sono se non un ‘clan’?”.