Nella legge di bilancio c’è spazio anche per la guerra del pacco. O meglio del plico. Pomo della discordia l’emendamento in cui si stabilisce che dal 2019 Poste Italiane potrà consegnare grandi buste con un peso fino a 5 chili (contro gli attuali 2,5) all’interno della convenzione di servizio universale con lo Stato italiano. All’interno cioè di un accordo fra l’azienda e l’amministrazione pubblica che assicura a tutti i cittadini i servizi postali di base a prezzi definiti. Per l’autore dell’emendamento, l’onorevole del Pd Francesco Boccia, l’operazione favorirà i piccoli imprenditori contro lo strapotere di Amazon, capace di spuntare prezzi concorrenziali sulle consegne per via della enorme mole di plichi in gestione. Ma ha soprattutto lo scopo di riaprire il dibattito sul futuro nella logistica della rete di Poste, fatta da 12.845 uffici sparsi in ogni angolo del Paese. Tuttavia per le aziende del settore consegne l’emendamento di Boccia finirà solo per alzare un polverone perché contrario alle norme Antitrust e alla disciplina comunitaria. Per non parlare del fatto che non avrà alcuna incidenza sui pacchi fino a 20 chili, già inclusi nel servizio universale, e del rischio concreto che possa mangiare i margini già risicati dei corrieri-fornitori di Amazon che subappalta la consegna dei plichi a società come Bartolini, Dhl, Nexive, Sda.
Difficile dire quale sarà l’effetto netto di questo emendamento che ha preso alla sprovvista non solo gli operatori, ma anche le autorità di vigilanza Agcom e Antitrust. “Un cambiamento di questa portata si deve discutere con tutte le parti in gioco”, spiegano da Nexive (ex TNT Post), primo operatore privato del mercato postale nazionale con oltre 7mila addetti – Meglio sarebbe stato affrontare la questione dopo aver ascoltato tutti coloro che operano nelle consegne”. Così invece non è stato. “Mi sono visto obbligato ad inserirlo in questo modo, all’ultima occasione possibile”, riprende Boccia che è presidente della commissione Bilancio della Camera dei deputati. Fatto sta che, volente o nolente, l’emendamento aprirà una nuova trattativa fra Poste e lo Stato italiano per il servizio universale. “Secondo le mie stime basteranno 50 milioni per coprire l’operazione”, prosegue Boccia, convinto che la norma farà solo bene a Poste, finora troppo concentrata sullo sviluppo del segmento finanziario. “Ci sarà un aumento dei plichi in consegna che rivitalizzerà inevitabilmente la funzione della rete degli uffici postali sparsi su tutto il territorio nazionale”, aggiunge. Con la prospettiva che “il network di Poste possa delineare un nuovo modello logistico italiano in un momento in cui ci sono sempre più pacchi che viaggiano per effetto dello sviluppo dell’ecommerce” conclude.
Nelle idee di Boccia gli uffici postali potrebbero diventare punto di smistamento dei pacchi dove i destinatari potrebbero recarsi per ritirare le merci acquistate via web. Una vera rivoluzione che cambierebbe le prospettive della rete di uffici di poste che l’ex ad Francesco Caio avrebbe voluto ridurre in maniera drastica per contenere i costi. Il piano di chiusure venne però bloccato in extremis dal governo con il sottosegretario alle telecomunicazioni, Antonello Giacomelli, che prospettò nella scorsa primavera un potenziamento del network postale. Ma al momento non si sa ancora come intende orientarsi il nuovo ad Matteo Del Fante che ha promesso di presentare il suo piano industriale di Poste entro marzo 2018.
Per allora l’emendamento in manovra potrebbe però aver già scatenato le ire degli operatori privati che potrebbero ricorrere all’Antitrust e anche alla Commissione europea, dove è in corso il dibattito della quarta direttiva postale per la liberalizzazione del settore. Il rischio che un eventuale ricorso vada a segno è peraltro alto dal momento che, dati Agcom alla mano, Poste continua ad essere in una posizione di forza nelle consegne in Italia: la controllata della Cassa Depositi e Prestiti detiene infatti l’85% di un business che vale circa 7 miliardi di euro. E l’emendamento di Boccia non fa altro che chiudere un pezzetto di mercato aperto alla concorrenza dal 2011. Un mercato che però è decisamente cambiato per effetto del recente boom del commercio elettronico in Italia (+26% fra il 2014 e il 2016, secondo i dati Ecommerce Europe) che ha modificato le necessità dei cittadini rispetto al servizio universale garantito dallo Stato. Un po’ come è accaduto per il traffico dati veloce nelle telecomunicazioni.