“Abbiamo dato vita a questo movimento come i partigiani, che si trovarono a imbracciare le armi e a lottare contro il nemico, sacrificando la loro stessa vita per un futuro migliore. Così, ognuno di noi è partito dal proprio caso personale per intraprendere una lotta comune, quella alla mala università”. Ricercatore di Scienze agrarie e titolare dell’insegnamento di “Tecniche viticole” alla Facoltà di agraria dell’Alma Mater di Bologna, Adamo Domenico Rombolà è uno dei fondatori di Trasparenza e merito, l’Università che vogliamo, un’associazione di ricercatori e professori nata a Roma il 10 novembre 2017 per denunciare le storture di un sistema universitario chiuso, “in cui spesso il reclutamento di ricercatori, docenti, ma anche dottorandi, avviene non sulla base del merito, ma attraverso meccanismi di cooptazione e favoritismi”.  Storie di concorsi truccati, ordinari abusi e irregolarità, nomine illegali, documentate, carte alla mano, dagli associati che hanno deciso di non restare isolati nelle proprie battaglie, ma denunciare e fare squadra, affinché cambi “la mentalità asfissiante, da conventicola, pseudo-mafiosa che si respira in tanti dipartimenti e atenei italiani”, scrive un altro degli otto soci fondatori, Giambattista Sciré, ricercatore di storia disoccupato nonostante un concorso vinto sei anni fa. “In queste settimane ci hanno contattato più di quaranta persone e stiamo preparando una mappatura dell’Italia attraverso le storie di scandali ricevute”. 

Il gruppo offre “sostegno psicologico ma soprattutto consulenza legale ai colleghi che si ritrovano disorientati difronte alle ingiustizie. Avendo già vissuto certe situazioni sulla nostra pelle, li aiutiamo a capire quali passi compiere tra denunce e ricorsi”, aggiunge Rombolà, protagonista di una serie di opache vicissitudini accademiche. Nel 2012 partecipò al bando per l’abilitazione scientifica nazionale (titolo necessario per chi aspiri a diventare docente universitario) per poter accedere così al concorso da professore nella sua disciplina, “Arboricoltura e Coltivazioni arboree” all’Università di Bologna. Ma, amara sorpresa, un anno dopo i risultati pubblicati online sul sito del ministero dell’Istruzione presentavano evidenti discrepanze rispetto alla valutazione che era stata data in prima battuta dalla commissione al termine del concorso: “Dopo una revisione da parte del Miur il giudizio fu stravolto”, spiega l’attuale segretario del corso di laurea in “Viticoltura ed enologia” all’Università di Bologna che, al pari degli altri cinque candidati, in un primo momento non aveva ottenuto l’idoneità, “Quello di cinque candidati cambiò in positivo, soltanto il mio fu peggiorato, senza alcuna motivazione”. Rombolà non conseguì il titolo, “nonostante tre voti della commissione su cinque fossero a me favorevoli e tanto, secondo la legge, bastasse a farmi ottenere l’abilitazione”. 

“Se un candidato dà fastidio a livello locale, a un certo punto la tentazione è quello di bloccarlo nell’abilitazione nazionale, nonostante abbia tutte le caratteristiche per proseguire”, continua. “Già prima del concorso qualcuno mi aveva detto che avevo tutte le carte in regola per farcela, ma che non avrei ottenuto il titolo perché alcuni commissari erano già stati istruiti a votare contro di me”.

Il ricercatore non si arrese: esaminò i documenti, sporse denuncia, il Tar e il Consiglio di Stato in seguito gli hanno dato ragione. Nel frattempo, in attesa che si pronunciasse il tribunale amministrativo, nel 2015 il ricercatore viene ammesso a partecipare “con riserva” a un concorso per professore associato all’Università di Bologna, “ma anche stavolta ci sono delle irregolarità” e Rombolà fa ricorso al Tar, di cui è in attesa di giudizio. “Il problema in Italia è che le commissioni violano le norme e lo fanno scientemente, perché sanno che ci vorrà del tempo prima che vengano giudicate, ed è difficile che paghino”, osserva. Per non parlare dell’isolamento in cui si ritrova spesso chi denuncia. “Nessuno dei colleghi mi ha mai dato solidarietà. Anzi, smettono di invitarti ai convegni scientifici, ti tengono fuori dai collegi docenti del dottorato, tutte azioni volte a penalizzare chi lavora in ambito accademico. Da questo vuoto intorno si salva solo chi ha contatti con l’estero. Ma l’Università può e deve essere diversa, ed è quello che vogliamo fare con ‘Trasparenza e merito’. Dimostrare che in Italia si può diventare ricercatori e docenti anche senza accodarsi a qualcuno, solo grazie al merito”

Articolo Precedente

Diplomati magistrali, titolo non valido per le graduatorie. Sindacati: “Scenari inquietanti”

next
Articolo Successivo

‘Sempre più migliori’ è sbagliato. Va bene giocare ma la ministra Fedeli ammetta lo svarione

next