Matteo Frasson lavora da otto anni all’Hospital Universitari i Politecnic della città spagnola e nel 2016 ha ricevuto il premio come migliore pubblicazione in Spagna per una ricerca. "Sto costruendo la mia carriera e il mio lavoro qui. So che nel mio Paese non sarebbe possibile fare la stessa cosa"
Quando Matteo Frasson è arrivato per la prima volta a Valencia insieme a sua moglie, erano passati due giorni dalla sua laurea Specialistica in Chirurgia: “Venivamo dal freddo e grigio clima milanese – racconta – il fine settimana successivo stavamo sdraiati in spiaggia con 20 gradi e ci siamo detti ‘Da qui non ci muoviamo più’”. Era il 13 novembre del 2009: “Ho una memoria pessima, ma quella data me la ricordo come l’inizio di una nuova vita”. Da otto anni Matteo lavora come chirurgo del servizio di Chirurgia generale e digestiva all’Hospital Universitari i Politecnic di Valencia. Nel 2016 è stato premiato con la migliore pubblicazione in Spagna in ambito chirurgico ed è appena stato nominato Profesor Aosociado alla Universidad de Valencia: “Qui hai la possibilità di crescere”, spiega.
Originario di Gallarate, Matteo, 38 anni, è arrivato a Milano all’Università San Raffaele per il corso in Medicina. Per un anno, nel 2006, ha fatto un’esperienza di studio e ricerca negli Stati Uniti. Poi, nel 2009, la fellowship di un anno in Spagna: “La selezione era aperta a tutti i giovani chirurghi europei e si è basata su cv, colloquio e pubblicazioni”, racconta. In Spagna Matteo e sua moglie sono arrivati con l’obiettivo di restare un anno, fino alla conclusione della fellowship. Col tempo le cose sono cambiate: “Abbiamo capito che qui c’è aria, spazio, possibilità di fare carriera”.
A Valencia tutto è abbastanza vicino, l’ospedale dista dieci minuti da casa e Matteo riesce a portare avanti i suoi progetti: turno in clinica dalle 8 alle 15, pranzo con la famiglia e pomeriggio da passare insieme ai figli: “Passeggiamo al parco sotto casa, li metto al letto. Qui ho la possibilità di crescere i miei bimbi – aggiunge –. Di sera, poi, lavoro al pc su prospetti, paper e pubblicazioni”. Anche il costo della vita qui è più basso rispetto a città come Madrid e Barcellona: “Quando siamo arrivati, nel 2009, eravamo nel pieno della crisi: i prezzi degli affitti erano bassi, così come quello degli alimenti. E sostanzialmente sono rimasti inalterati”.
Nel 2016 Matteo ha ricevuto il premio come migliore pubblicazione in Spagna per una ricerca ‘sui fattori di rischio di deiscenza anastomotica dopo resezione intestinale per tumore’. “Il tumore al colon è uno dei più frequenti nei Paesi occidentali – spiega il chirurgo italiano – quando operiamo togliamo un pezzo di colon e dobbiamo tornare a unirlo. Se non cicatrizza correttamente siamo di fronte ad una complicazione importante, che può portare alla morte del paziente nel 15% dei casi”. Insieme al suo gruppo di ricerca, così, Matteo ha analizzato un campione di 3mila pazienti in 50 differenti centri spagnoli. L’articolo è stato pubblicato su Annals of Surgery, la più importante rivista chirurgica al mondo.
La differenza principale rispetto all’Italia è che qui c’è spazio per crescere, operare, essere indipendenti. “In Italia, senza generalizzare, se uno vuole fare il chirurgo deve aspettare i 40 anni per entrare in sala operatoria – spiega Matteo – Questa cosa ti tarpa le ali. All’estero, in Francia, Inghilterra e Spagna questo non esiste”. Quando è arrivato a Valencia, a 31 anni, Matteo è entrato in sala operatoria fin da subito: “Facevano di tutto per insegnarmi”, ricorda.
Si è creata, così, una vera e propria diaspora di chirurghi italiani: “Qui in Spagna c’è una quantità di giovani chirurghi italiani incredibile”, aggiunge. Ci sono, ad esempio, gruppetti che operano a Vigo, a Madrid, ma anche a Minorca e Alicante: “Sono tutti giovani che qui hanno la possibilità di imparare, operare, avere i propri pazienti: se fossi rimasto in Italia a quest’ora starei ancora aspettando il mio turno”.
L’Italia per il momento rimane lontana: “Sto costruendo la mia carriera e il mio lavoro qui. So che nel mio Paese non sarebbe possibile fare la stessa cosa – aggiunge –. Da noi c’è il primario che tende ad operare tutti: io stamattina sono entrato in sala operatoria e insieme al mio team ho assistito i miei tre pazienti”. Come spesso accade è anche una questione di mentalità: “Il mio capo ha deciso di affidarmi la guida di un gruppo di 25 ricercatori, tutti più anziani di me – spiega Matteo – Così è nato il lavoro pubblicato e poi premiato a livello nazionale”. La differenza è che di spagnoli chirurghi in Italia non ce n’è neanche uno, e che “di chirurghi italiani in Spagna ce n’è una caterva”, conclude Matteo. Rientrare? “Non credo – sorride – Ma che non lo venga a sapere mia mamma”.